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Questa è una donna (e una giornalista)

22 Ott

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Grazie per il tuo lavoro, che per approccio e per contenuti hai di certo svolto meglio di molti altri. Riposa in pace, Maria Grazia, amica degli animali e delle buone notizie, ovvero di tutto ciò di cui si parla poco, troppo poco, e pure male. Ti ricorderò per gli occhi buoni e per le buone intenzioni, per le occhiate in camera e per la voglia di andare avanti. Sempre. Fino all’ultimo.

Ciao, e riposa nella pace che meriti.

A serious man

25 Set

Che qua non c’è mica tempo da perdere. Che lo status di disoccupato non può mica essere un alibi. Qua tocca tenersi al passo, stare in carreggiata. Ci vuole l’impeto del guerrafondaio. Bisogna sentire dentro l’ardore della sfida. Guardare la vita in cagnesco e abbaiare. Bau! Bau!, anche se gli inglesi direbbero Woof! Woof! L’ho imparato qui. Qui, dove sto prendendo lezioni d’inglese, mia grande lacuna per il lavoro che svolgo. Qui. Gente seria tra gente seria.

A serious man

Ho messo via

21 Mag

Un bel po’ di cose. Dicono: “Così si fa”. O perlomeno così dice Luciano. Luciano Ligabue. L’uomo che tra un paio di settimane mi riporterà qui, a Milano. Perché intanto, nel frattempo, io me ne sarò già andato. Avrò già lasciato la città meneghina, in cerca di qualcosa di nuovo. Un nuovo chiamato mare. Un nuovo chiamato gatti. Un nuovo chiamato amici. Un nuovo chiamato famiglia. Un nuovo chiamato nuovo, ma che di nuovo ha davvero poco. E, soprattutto, non ha niente a che vedere con il lavoro.

Il lavoro mi ha tradito. Il lavoro mi ha lasciato. E io, per un perverso giro della logica devo lasciare a mia volta qualcuno. Qualcosa. Milano. Un posto con il quale non credevo che avrei mai provato empatia. Un posto che invece mi resterà sempre nel cuore, perché qua i cuori sono molto meno grigi di quanto si pensi da fuori. Ma questa è un’altra storia. La storia che vi voglio raccontare oggi non è quella di un addio, ma di un arrivederci. Arrivederci, Milano. Non credere di aver chiuso con me. Non t’illudere. Qua io lascio affetti e progetti, progetti e affetti. Spesso, cosa bellissima, le due cose riescono addirittura a coincidere.

Ma intanto ti devo salutare, o mia bela Madunìna. Sono costretto a prendermi una pausa di riflessione. Per questo, da amante un po’ triste e un po’ deluso, sto già facendo i bagagli. In camera, in questa camera che sono in procinto di abbandonare dopo quasi due anni, sono circondato di scatoloni da riempire, sequestrati dal magazzino del Carrefuor vicino casa come fossi un barbone. Con la differenze che quelli, poveracci, una casa non ce l’hanno proprio. Io la mia la sto per mollare, dicevo, e me ne sto per tornare a quella vera. Quella delle origini. Quella dei miei. Arrivederci, Metropoli a Gas. La Baia delle Zanzare è già lì che mi aspetta. E così il mare. E così i gatti. E così gli amici. E così la famiglia. E così quel nuovo che tanto nuovo non è.

Intanto raccolgo, seleziono, organizzo, inscatolo. E ho messo via un bel po’ di cose. Dicono: “Così si fa”. Tra quelle cose, chili e chili di carta prelevati dai cassetti della redazione. Così, rovistando, oggi ho ritrovato le stampate delle prime pagine curate da me. Ho riletto i miei primi titoli, di cui andrò sempre fiero anche a costo di apparire immodesto. Ho ritrovato le correzioni in rosso, sarcastiche, ficcanti e per questo efficaci di Lina Insu, la donna a cui devo questa mia prima vera opportunità di lavoro. E ho ritrovato, lì in mezzo, l’entusiasmo che provavo nel fare certe cose. Nel gestire le mie sezioni. Nello scrivere pezzi sulle grandi magie della tv e dello spettacolo in genere. La soddisfazione di potermi relazionare con dei collaboratori, mentre una volta il collaboratore ero io. Una volta, proprio come adesso. La ciclicità del destino è davvero ridicola e beffarda.

Mi sono ripassate per le mani le stampate degli scambi epistolari con la photoeditor della stanza accanto, che mandarsi le mail era meno faticoso che alzare il culo e andare di là oppure gridarsi a vicenda come fossimo in osteria. Sono ripassati sotto i miei occhi quei timoni fatti e rifatti. I fogli su cui mi segnavo le idee su come sviluppare i temi del mese, puntualmente cassati da chi, sopra di me, aveva già venduto la sua anima di giornalista ai fottuti diavoli del marketing.

Ho ritrovato, lì in mezzo, quella parte di me che tra una corsa e l’altra si divertiva a fare, e che ha voglia di fare ancora. Milano, non credere di aver chiuso con me. Perché io, con te, non ho di certo finito.

Ho messo via

Ci dev’essere un’interferenza

12 Feb

“Ciao babbo, qui mi sa che perdo il lavoro. Dillo te a mamma, che sono stanco”.
– click –

Più tardi.
“Ciao mamma. Hai parlato con babbo?”
“Sì. Mi ha detto che s’è riaccesa qualche speranza!”.

1 2 3 Allenamento Fulham - UEFA Europa League 2009-2010 5 6 7 8 9

Tivù-bì

16 Set

Fine dell’estate. Cambio di stagione. Inizio di una nuova. Quella televisiva, che si autocelebra con una party-conferenza all’americana.

Compiti divisi tra noi redattori. Ognuno intervisterà i grandi ospiti presenti sulla base delle sezioni che cura. Io mi occupo prevalentemente di documentari e programmi per bambini, e contrariamente a quanto ho scritto in questi giorni ho già pronte le mie domande.

Com’era il miele, stamattina, signor Grizzly?
Ma è vero che mamma orsa fa delle ottime crostate?
Koda può dirsi davvero un “fratello”?
E Baloo. Non trova abbia un nome ridicolo?
Yoghi, invece, ha davvero quella voce da scemo o è tutta colpa del doppiatore?
Grazie. Le saluto il ranger, eh.

E poi.

Cara Peppa Pig, lo sa che ha proprio un nome del cazzo?
Esimia Violetta, ma quando morirà si farà chiamare Crisantemo?
Care Tartatughe Ninja, ok che voi bestiacce col guscio campate pure duecento anni, ma non vi pare sia ora di appendere i nunchaku al chiodo?
E voi, gentili Power Rangers, ma per essere sempre così rossoggialleppiù-rosaneroebblù usate mica Omino Bianco Color? E credete che avreste avuto lo stesso successo se la tv fosse rimasta in bianco e nero?

Ma in fondo io scherzo. Cara tv, io ti voglio bene. Soprattutto da spenta.

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Cronaca di una domenica sera di fine ferie

19 Ago

Prepara la cena. Mangiala. Lava i piatti (di una settimana). Dai le crocchette al gatto che non miagola mai. Decidi di chiamarlo Chaplin, perché è muto come lui. Impila i giornali che tu e tuo zio avete messo da parte per tuo padre. Sistema un po’ casa. Libera l’ingresso dalle cianfrusaglie sparse e dagli alcolici avanzati a Ferragosto (mamma, non è come sembra). Insulta l’amico che su Facebook ti ha appena ricordato che stai per tornare a lavorare. Fai la valigia. Insulta anche lei. Fatti una doccia che è meglio. Vai a prendere i tuoi, di ritorno da una vacanza di ben sei giorni. Prima però fattela davvero, la doccia. Poi insultala. Vai a letto. Dormi tre ore. Realizza che erano appena due. Insulta la sveglia. Constata che fuori è ancora notte. Vai in stazione, a tentoni come sempre. Prendi il treno. A calci, dico. E insulta anche lui. Viaggia per oltre cinque ore. Arriva sfatto a Milano. Nel mezzo, possibilmente, perdi la coincidenza come al solito e insulta il macchinista. Appoggia i bagagli a casa. Vai a lavorare. Prova a sorridere. Constata l’improbabilità di un sorriso. Manda a fanculo Neffa.

Flap flap

9 Ago

Giro di bozze. Io penso al mare. Una farfalla entra in redazione e si posa sulla pre-ciano.

E’ il segno. E’ giunta l’ora di volare via

Ricchi premi e du’ cojon (2)

8 Mag

cara collega,
ti scrivo adesso sennò domani mi scordo.
nel mio pezzo c’è un errore. ho scritto che la giraffa e l’ippopotamo s’innamorano nel primo film. no, era nel secondo. magari domani ti do una mano a correggerlo.
grazie.

kronny

p.s.: so che non sembra, ma questa è una mail seria.

Ricchi premi e du’ cojòn

7 Mag

Oggi ho scritto un pezzo dal titolo:
Se il re dei lemuri ama un orso col tutù

Sento che il Pulitzer è sempre più vicino.

La gravità mi fa male lo so

16 Gen

Finocchi lessi. Carote, carciofi e qualche zucchina. Con in mezzo appena qualche residuo di pasta. Ma senza esagerare. Ormai a pranzo si fa sul serio. Il Natale ha trasformato tutti in panettoni, con i brufoli da sovraccarico digestivo a fare da uvetta. E alla mensa della redazione (un tavolo rettangolare su cui ognuno consuma le cose che si porta da casa) si sta molto più attenti a cosa si mangia. Finocchi lessi. Carote, carciofi e qualche zucchina. Con in mezzo appena qualche residuo di pasta. Poi sono arrivato io. Mezzo pollo arrosto, con patate iper-salate al momento dalla simpatica signora della gastronomia ambulante, che ogni volta s’impegna insieme al suo gentilissimo marito a minare la mia traballante pressione arteriosa. Precaria, direi. Pure lei.

Tutti a mangiar sano. E io che mi strafogo. Il fatto è che me lo posso permettere. Cioè, voglio dire, i quattro euro e quaranta da dare alla signora ancora riesco a racimolarli. E se invece che al portafogli guardassi al mio girovita (da me rinonimato giroeternità per ovvie ragioni di circonferenza) sarei comunque della stessa identica opinione. Me lo posso permettere. Mi guardo allo specchio. Sembro il porcellino salvadanaio. Quindi posso.

A consolarmi, stamattina, una voce amica. Diciamo.
KronaKus, ma da quando sei arrivato qui sei forse ingrassato? Ti ho visto passare, prima. C’ho pensato e te l’ho voluto dire. E’ che quest’estate eri tutto bello massiccio. Invece adesso..
Zitto e incassa. Anzi, zitto e ingoia. E quindi ingrassa. Ancora. La voce amica era nientemeno che quella della direttrice. La mia proverbiale difficoltà a trattare con i potenti mi ha portato ad avere con lei un rapporto poco più che professionale. Si parla pressoché di lavoro. E poi di lavoro. E quando capita si discute pure di lavoro. Ma adesso abbiamo trovato una variante, grazie alla mia ciccia inserita a tradimento nel nostro risicatissimo repertorio.

Io nella vita ho sbagliato tutto (sarà forse per questo che mi si è allargata?). Non dovevo fare il giornalista. Dovevo fare l’aerobico. E’ quello l’unico lavoro di cui ho bisogno.

Durante il pranzo ognuno ha sbandierato i due ingredienti a testa utilizzati per preparare il proprio piatto smilzo. La più magra di tutta la redazione è quella dei finocchi lessi. Di questo passo sparirà del tutto. Io glielo dico sempre: Così verrai licenziata per assenteismo! Ma le orecchie le sono già sparite. Perciò non mi sente, ed è come parlare al vento. Che è comunque più grasso di lei. Pure se è vento secco.
Dopo aver elencato le ricette ipocaloriche di oggi, i colleghi hanno cominciato a scambiarsi sguardi compiaciuti. Avevano appena realizzato quanto fossero bravi e ligi al dovere, determinati a contrastare gli effetti ingrassanti delle feste. Poi, di colpo, la lobby del grissino integrale si è girata tutta verso di me. Mi sono sentito come un cinghiale sotto assedio. Con le ganasce piene a mo’ di criceto ho coperto il mio piatto col braccio. Ho provato a far credere loro che quello nel mio piatto fosse un pollo di soia, e che oggi il mais transgenico è così grosso da sembrare una patata. Ma niente da fare. Erano già così imbottiti di finocchi che non sono riuscito a infinocchiarli.

Alla fine sono andato in bagno a lavarmi la forchetta. Avevo la pancia piena di cibo e la testa traboccante di sensi di colpa. Ma d’altronde io non c’entro nulla. Io sono la vittima. La scorsa estate ero massiccio, non grasso. Muscoloso, non flaccido. Ma la forza di gravità non l’ho inventata io, ed è evidente come qui al nord si faccia sentire di più. Se i pettorali mi son scesi nell’addome è un fatto assolutamente naturale.

Poi sono tornato a prendere le mie cose nella non-mensa di redazione. C’era la signora Insu Lina, in ritardo sulla tabella di marcia, che si stava divorando una poderosa porzione di lasagne al ragù. Finalmente qualcuno che fa sul serio, mi sono detto. Qualcuno che mangia come si deve. E’ che lei se lo può permettere, e non deve nemmeno fare battute su portafogli e salvadanai. E dire che io ho vent’anni di meno. Non dovrei essere ridotto così, a perdere certi confronti. A essere costretto, in così tenera età, a rinunciare pure all’acqua gassata. Vuoi?, mi ha chiesto lei. No, ho risposto io. Quella roba gonfia.

Il cerchio nella vita

2 Gen

Canticchio filastrocche su aspiranti re, di fronte a uno schermo che mi ricorda quali sono le mie vere radici. Davanti ai miei occhi un cucciolo di leone in technicolor. Con tutta la magia dell’accaddì. Non è vero. Io a casa ho ancora un tubo catodico che all’occorrenza mi fa anche da scarico del water. Perché nel frattempo lo scarico vero s’è intoppato. E alla grande. E’ difettoso da una vita, ma i miei genitori hanno preferito fare la pavimentazione in giardino. Così che quando il cesso s’inceppa non ho nemmeno più uno straccio d’erba dove sotterrare i miei surplus digestivi.

Non so come, ma finisco sempre a parlare di cagate.

Vabè.
Dicevo che canticchio filastrocche su aspiranti re. Simba ne sa una più del diavolo. E Pumba assomiglia tanto a me, porcello sacrificale prossimo alle fine delle feste. Mi ricordo buona parte delle parole di certe canzoni, anche se molte cose non sono più come prima. Elton John s’è sposato, e Ivana Spagna s’è comprata il reparto di chirurgia estetica del Gemelli per farsi lo sconto da sola. Il Re Leone l’ho rivisto al cinema pure l’anno scorso. Con tutto lo spettacolo del treddì. E comunque io la colonna sonora l’ho consumata, all’epoca. Ho la cassetta (rigorosamente pirata), e sono praticamente cresciuto a suon di azuvegnaaaa zavavì zivavà.

Fatto sta che i primi quattro minuti di quel film sono una delle vette più alte del cinema mondiale. Una tra le più elevate di sempre. Io me lo ricordo come fosse ieri. E ripeto, a canticchiarle mi tornano in mente buona parte delle parole. Eppure di tempo ne è trascorso. Di acqua ne è passata sotto i ponti, e altrettanto è il vino che è sceso giù per il mio esofago durante queste ferie (o presunte tali). Mi è servito per sturarmi dai pandori interi incastrati tra il crasso e il duedeno. Alla fine il mio intestino si è rivelato tutt’altro che tenue. Il water, per non rischiare, ha già chiesto il trasferimento.

Ho guardato di nuovo i primi minuti del film, poi ho mollato. Sono tornato al mio pc, compagno di (s)ventura di ogni giornalista contemporaneo, aspirante e non. La televisione non fa più per me, anche se campo scrivendo di lei. E’ come se Sgarbi parlasse di Monet senza sapere chi è. Roba che si confonde, e finisce a parlare di portafogli e di salvadanai a forma di scrofa (questa vediamo chi la capisce). Ma poco male. Ho fatto bene a staccarmi da quello schermo (e da quel tubo catodico che emana odori d’oltretombola). Perché non fa bene pensare al tempo che passa. Io canticchio filastrocche su aspiranti re, sì, ma da quel giorno al cinema che ricordo come fosse ieri sono trascorsi quasi vent’anni. Quella volta ero pure magro, in piena età dello sviluppo, periodo che mi ha fatto da dieta dimagrante naturale. Prima ero un botolo, poi un mezzo atleta (più mezzo che atleta), e oggi sto tornando alle origini. Un botolo, insomma. Della serie mesomagnatolulaòppe. Oggi più che il cerchio della vita ho un cerchio nella vita. E alla testa, al pensiero che lunedì si torna tutti in redazione. Senza leoni. Senza canzoni. Ma con tutta la magia dell’accaddì.

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Il pupazzo di neve non si mangia

14 Dic

Ritrovarsi le macchine bianche e non accorgersi di nulla. Ritrovarsi che è mezzanotte e qualcosa, e accorgersi di poco o nulla. Ritrovarsi a essere soltanto un numero, e non accorgersi di nulla. Ritrovarsi a smettere, a smettere di ritrovarsi. E non accorgersi di nulla.

La neve bianca scende per coprire il grigio. Diamo la colpa alla città, ma no, non è Milano. Siamo noi ad aver perso i colori. E non è stato Dio a sbagliare candeggio. Siamo lo specchio della nostra pochezza, l’espressione di una vana forma di disumana umanità. Siamo piccioni in attesa di un pane stantìo. Le brioches se le terranno per loro. Tutt’al più, diranno, che mangino la neve.

Tra poche ore sarà il mio Maya-Day, quello in cui saprò se c’è ancora un contratto per me. Io so di aver fatto il mio dovere. Me ne sto qua, con l’orgoglio in una mano e la dignità nell’altra. E non ho nemmeno un po’ di ansia.

Politically uncorrect

25 Ott

E i sogni non contano più. Qua siamo tutti pollastri da spennare. Qualche volta, poi, capita pure che si lavori. Ma solo qualche volta, eh. Si lavora così, come pennuti in batteria. Il tacchino glugluglù, il gallo co.co.prò. E il pulcino Pio, il pulcino Pio.

Però è tutta colpa nostra. Dovremmo accontentarci, noi. Siamo macchine, mica anime infilate dentro dei corpi. Siamo giovanotti da codice binario. O così o Pomì. E vaffanculo ai sogni. Che no, non contano più un cazzo. Non più di certi contratti. Patti col diavolo, in un sistema in cui i ministri di mestiere fanno gli ammazza-speranze. Certe parole sono prive di rispetto. E certa gente è buona soltanto a fare manovre. Tutte rigorosamente contromano.

Dubbi amletici da Fantacalcio (2)

27 Set

Ok, oggi pomeriggio si lavora sodo – disse la Volpe (mica tanto) di redazione – ma ditemi voi come posso fare. Ho tenuto dentro Pazzini e non ho messo El Shaarawy, autore di una cazzo di doppietta. No, oggi mi tira troppo il culo per lavorare.

La sagra delle scelte sbagliate

24 Set

La vita è una questione di scelte, e sbagliarle è davvero un soffio.

Fffffffffffffffffffff

Ecco. Fanculo.

Già, questo periodo va così. Stecco sulle piccole cose. Decisioni che mi sembrano buone, ma che poi si rivelano amare come garofani. Niente di grave, se non che poi ci ripensi e ti ritrovi a sospirare per delle sciocchezze.

Venerdì scorso. Di mattina la classica riunione del mese, poi nel pomeriggio mi sono vestito un’altra volta da Capitan KronaKus e ho messo le mani sui timoni del nuovo numero. Tra un bastoncino di serie tv e uno di documentari mi sono messo a progettare le mie pagine prossime (s)venture. Bene. Nella testa avevo già l’idea di sbrigarmi a fare il mio dovere, per poi prendere l’ultimo treno utile della giornata (rigorosamente regionale, il Fecciarossa i miei soldi non li vedrà) per tornare nella Baia delle Zanzare, dove da una decina di giorni c’è anche il mio miglior amico, un giappoaustraliano con il vezzo della vita fuori porta tornato temporaneamente perfarsiicazzisuoi. Non lo vedevo da un anno. Vabbè, a parte lo scorso weekend, quando sono già tornato a casa. Ma comunque questa volta l’avrei dovuto salutare, perché lui riparte giovedì, quando io sarò di nuovo a destreggiarmi tra le mie trenta pagine (o forse meno, chissà..) nella già nebbiosa Metropoli a Gas. E io ero convinto che ce l’avrei fatta a tornare di venerdì. In fondo quel pomeriggio avrei dovuto soltanto ragionare un po’ su come gestire le nuove pagine, buttar giù una bozza di timone delle mie sezioni e poi tanti saluti. Ma quando è stata ora di andarmene non me la sono sentita. In quel frangente si stava discutendo di quante pagine avremmo avuto a testa questo mese, si stavano facendo conteggi su conteggi. Io non ero in alto mare, ma comunque coi miei timoni non ero ancora arrivato in porto. Sentivo troppo fermento intorno a me, così sono rimasto in redazione. Qualcuno poi mi ha detto che so’ de’ coccio, perché è già la seconda volta che mi faccio troppe remore in una situazione del genere.

Il bello è che in redazione non c’erano nemmeno le alte sfere. Il brutto è che non ci sono nemmeno oggi, quando contavo di mostrare i miei timoni lucidati e pettinati (sì, i miei hanno il pelo, e allora??) a chi di dovere per discutere seriamente sul da farsi. Invece niente. La mia scelta del venerdì non era stata granché, ormai è chiaro. Avrei potuto andarmene e sistemare le cose stamattina, ne avrei avuto tutto il tempo. Non ho nemmeno il materiale su cui scrivere per potermi avvantaggiare. Sì, qualcosa da fare si trova sempre, perché qui vuoi o non vuoi non c’è mica tempo da perdere. Qui, dove si fanno già pronostici funesti sui prossimi due sabati. Qualcuno dice che si lavorerà. Qualcun altro fa gli scongiuri come se gli fosse passato davanti un flash mob di gatti neri.

La sagra delle scelte sbagliate è durata un po’ tutto il weekend. E’ cominciata sabato mattina, quando sono finalmente partito per la mia Baia. Come sempre ho fatto il cambio a Piacenza (che debba trovare un nome di battaglia pure per questa città??), dove come sempre ho compiuto il mio solito rito pagano. La colazione al bar. Un lusso a cui non mi va di rinunciare. Concedermelo mi dà l’idea di una piccola festa che sta per cominciare, di un primo assaggio di svago. E così è, in effetti. Ma al bar della stazione non ci sanno fare. Non sono scorbutici, ma non mi piace comunque il servizio. Così ho voluto cambiare. Ho attraversato il piazzale principale. Nel farlo sono stato fermato da una ragazza che avrà avuto più o meno la mia età. Non voleva rimorchiarmi, e francamente è stato tanto meglio così (i miei calzetti bucati hanno più sex appeal). Voleva vendermi delle stampe, forte del suo presunto status di orfana cacciata dall’orfanotrofio perché abbondantemente maggiorenne. Cinque euro non glieli ho voluti dare (mi ha chiesto l’equivalente di un cocktail a cui avrei dovuto rinunciare, a suo dire.. si vede che non mi conosce!), così le ho lasciato due euro per solidarietà. Poi ho proseguito verso il bar che avevo puntato. Era un locale gestito da giapponesi, davano musica truzza ed era frequentato da gente che non parlava la mia lingua e aveva la faccia da avanzo di galera. Poi magari sono dei santi scesi in terra, ma quella è stata la mia impressione. Fatto sta che ho cominciato a pensar male anche del mio giappuccino in arrivo. Che invece poi si è lasciato bere (non vedo, in effetti, perché avrebbe dovuto opporre resistenza). E allora dove sta la scelta sbagliata? Beh, tornando verso la stazione ho visto la sedicente orfana spipettare una sigaretta. Sembrava contenta. Io no. Per niente. Veniva verso di me. Le ho urlato “Sì ma se fumi non ci siamo, eh!”. Mi ha dato ragione, ha detto che è un viziaccio che si deve togliere, poi ha aperto la borsetta per farmi vedere che non c’erano pacchetti. Che non le aveva comprate, insomma, e che quella che aveva in mano l’aveva scroccata da un altro ragazzo lì sul piazzale. Vabè. Ho proseguito. Non volevo perdere il mio treno per la smania di darle quattro schiaffi.

La scelta di cui non mi pento è quella di essere ripartito stamattina per tornare in questa fottuta Metropoli. Stamattina, e non ieri, evitando di far abortire la mia splendida domenica proprio sul più bello. Ho fatto la vendemmia con la mia famiglia, come ogni anno, e sono stato con il mio amico finché ho potuto. E non importa se stamattina il viaggio è andato come è andato. Si avverte che a causa di un problema al materiale rotabile il treno viaggia con un ritardo di dieci minuti, ha detto la stronzissima voce registrata del treno. Io per il cambio ne avevo soltanto sette. Il materiale rotabile, poi, sono diventate le mie palle.

Voglio rinascere gatto

10 Set

Il lunedì non è uguale per tutti.

EUROTeleKronaKus (4)

26 Giu

Questa volta ho davvero esagerato. Mi son fatto prendere la mano. Per favore, restituitemela. Quarantacinque giri. Di parole. Freddure gelate. Guardate la colonnina di mercurio e sparatemi un sonoro grazie. Quarantacinque euro-cazzate, dicevo, di quelle da competizione. Io contro Martufello. Secondo me finisce pure che perdo.

Al via l’ennesima, inutilissima EUROTeleKronaKus.
Bandiere in campo. Lampante l’identità delle squadre. Italia contro Croce Rossa. Se ci facciamo male siamo in buone mani.
Difficile scrivere freddure di fianco a mio padre che urla e subito dopo ha il coraggio di dire che queste partite non lo prendono più..
Calcio d’inizio. Dio salvi la regina. Ma non oggi, grazie.
“Palo!”. E sbuca un portiere cinese.
Balzaretti, cross per Casper. Si prevede un gol fantasma.
Buffon non ha riflessi. È direttamente uno specchio.
Balotelli, è ora che ti guadagni la pagnotta. Suvvia, parti pure avvantaggiato. La maionese già ce l’hai.
Buffon come Spider-Man. Ma c’è un Parker tra gli avversari. Sembra una sceneggiatura Marvel.
“Dobbiamo ancora trovare la posizione giusta”. Qualcuno tolga il libro del kamasutra da sotto gli occhi del telecronista Rai.
Balotelli s’è mangiato il gol, la maionese e tutta la pagnotta.
L’Inghilterra è partita forte, ma adesso stiamo controllando noi. Loro sono passati al cricket.
Balotelli, più entusiasmo. Ho capito la faccetta nera, ma questo non è calcio balilla.
Cassano. Passaggio. A vuoto.
Fase statica del gioco. Prandelli e Hodgson tentati dalla briscola.
Cassano tira per levarsi la ruggine di dosso. E io che pensavo fossero brufoli.
Motta indisposto. O ha le sue cose o è indigestione di cornetti.
Welbeck avanza solo. Talmente solo che sta per mettersi a piangere.
Finisce il primo tempo. Nessun infortunato. Palese la noia dei crocerossini.
Secondo tempo al via. È chiaro, però, come all’Italia manchi una punta. Uno che penetri. Che arrivi fino in fondo. Che lo metta dentro. Che ci faccia gridare. Godere. Cambio: fuori Cassano dentro Siffredi.
Tiro. Parata. Tiro. Parata. Tiro. Fuori. Gli azzurri con le mani sui capelli. Qualcuno passi uno scottex a Balotelli.
Svelato l’arcano degli errori di Balotelli. Non vuole segnare contro gli inglesi. Teme la rescissione del contratto.
Abate e Young, testa contro testa. L’azzurro sofferente. L’inglese è chiaramente un cornuto.
La loro difesa ha dei buchi che ci permettono di entrare. Rocco, pensaci tu.
Dai Diamanti non nascono i fior. E i gol??
Barzagli ammonito. Senza aver fatto male a nessuno. I crocerossini ostentano delusione.
Italia con il 4-3-2-1. Boom.
Italia ad albero Di Natale. Un chiaro messaggio subliminale per Prandelli.
Ma niente. Entra Maggio. Tutto un altro periodo dell’anno.
Overtime. L’Italia per vincere deve fare soltanto una cosa. Passare a Pirlo una bombola d’ossigeno.
Prandelli con una macchia in rilievo sulla giacca. O nei paraggi ci sono piccioni con la dissenteria oppure Balotelli si è messo a fare headbanging durante la pausa.
Giallo per Maggio. Ancora c’è tempo.
Il telecronista Rai ricorda come adesso ogni errore possa essere fatale. Ravanata tra i coglioni da parte di Buffon.
Balotelli, tiro telefonato. “Mi pari? Ma quanto mi pari??”.
Altro tiro telefonato di Balotelli. La Telecom ha già pronto il cesto per Natale.
Palo di Diamanti. Qui non si bada a spese.
Guardate bene. Diamanti non ha tatuaggi. È un frigorifero bipede pieno di calamite.
Young. Giovane. Ma con la botta che ha preso sta comunque per perdere tutti i denti.
Occasione d’oro per Diamanti. Momento prezioso per l’Italia.
Nocerino! Palla in porta!! …. Fuorigioco. Come perdere l’ugola per l’anima del cazzo.
Urla disumane a casa KronaKus. Tanto rumore per nulla.
Un finale rigoroso. Li mortacci..
Ok, sì, dai Diamanti nascono i gol. Quelli decisivi.
Italiani, popolo di scommettitori. Rigori, praticamente una lotteria. E chi avrebbe dovuto vincere se non noi??
L’Italia è in semifinale. Siete condannati alle EUROTeleKronaKus a oltranza.

E ho detto tutto. Appuntamento qui per giovedì sera, pronti per la semifinale contro i tedeschi. Calmi, però. Non vi agitate. State c(r)auti.

God saves the squirrel!

9 Giu

“Hai visto su Repubblica.it le foto dello scoiattolo che s’è mangiato la panna della regina?? Guardale, son forti! Speriamo ci siano ancora.. Due ore fa c’erano…”

Boh. Forse mio padre pensa che su Internet le cose siano scritte con l’inchiostro simpatico.

(..e con questa ancora rido…)

Cane da tartufo

6 Giu

Penso che a scrivere di politica mi verrebbe l’orticaria. Mi spegnerei dentro, e perderei anche parte del mio “fiuto”. Non sono un cronista a mo’ di cane da salotto, ma non sento nemmeno di avere i numeri per fare il mastino da guardia. Non assecondo il potere, ma non sono neppure un giustiziere armato di penna che sta sempre sull’attenti per schierarsi dalla parte dei deboli. Sono più un cane da tartufo pronto a stanare il buono che c’è. Dissotterro l’anima delle cose. E la racconto.

No. Non potrei mai scrivere di politica. Però nel mezzo ci sono anche notizie divertenti. Questa, per esempio, mi ha provocato tanto riso.

Vorrei la birra nera

3 Giu

Ieri sera, Festa della birra. Io e il mio amico ritrovato avevamo appena ordinato una mezza pinta a una birraia che serviva bionde e rosse, ma che a guardarla ci ha fatto venire una gran voglia di mora.

Pensavo che a quei luppo-raduni andassero soltanto uomini sfattoni e donne un po’ cupe dal trucco troppo dark. Invece mi son ritrovato in mezzo a gente come me, con un look senza identità, anonimi nell’aspetto quasi per vocazione. In una parola: normali. Convinto di questo e contento del mio sentirmi a casa, siamo andati allo stand della mora spilla-birre. Io alla mia seconda (ne seguirà poi una terza), il mio amico ritrovato ormai all’ottava (ne seguirà poi una nona). Alla faccia di Beethoven. In effetti il ragazzo è secco come uno levriero, ma ha bevuto come un San Bernardo.

Io e lui in fila. Di fronte a noi due occhi chiari e una chioma scura come la Guinness. Il naso era un po’ aquilino, ma visto il contesto chessenefotte. Poi la fine del sogno, e i miei incubi più recenti di nuovi alla ribalta.

Da dietro di me qualcuno chiede una Weiss. Mi volto. Lo guardo. Era un panzone metallaro in piena regola. Ma soprattutto aveva una barba così lunga da sembrare un tutt’uno con peli dell’ombelico. Era pure grigiastra. Sembrava Babbo Natale al concerto degli AC/DC. La maledizione continua. Ma la Weiss non c’era, mio caro Osama Bin Wacken! Eh oh. So’ soddisfazioni.