La vita è una questione di scelte, e sbagliarle è davvero un soffio.
Fffffffffffffffffffff
Ecco. Fanculo.
Già, questo periodo va così. Stecco sulle piccole cose. Decisioni che mi sembrano buone, ma che poi si rivelano amare come garofani. Niente di grave, se non che poi ci ripensi e ti ritrovi a sospirare per delle sciocchezze.
Venerdì scorso. Di mattina la classica riunione del mese, poi nel pomeriggio mi sono vestito un’altra volta da Capitan KronaKus e ho messo le mani sui timoni del nuovo numero. Tra un bastoncino di serie tv e uno di documentari mi sono messo a progettare le mie pagine prossime (s)venture. Bene. Nella testa avevo già l’idea di sbrigarmi a fare il mio dovere, per poi prendere l’ultimo treno utile della giornata (rigorosamente regionale, il Fecciarossa i miei soldi non li vedrà) per tornare nella Baia delle Zanzare, dove da una decina di giorni c’è anche il mio miglior amico, un giappoaustraliano con il vezzo della vita fuori porta tornato temporaneamente perfarsiicazzisuoi. Non lo vedevo da un anno. Vabbè, a parte lo scorso weekend, quando sono già tornato a casa. Ma comunque questa volta l’avrei dovuto salutare, perché lui riparte giovedì, quando io sarò di nuovo a destreggiarmi tra le mie trenta pagine (o forse meno, chissà..) nella già nebbiosa Metropoli a Gas. E io ero convinto che ce l’avrei fatta a tornare di venerdì. In fondo quel pomeriggio avrei dovuto soltanto ragionare un po’ su come gestire le nuove pagine, buttar giù una bozza di timone delle mie sezioni e poi tanti saluti. Ma quando è stata ora di andarmene non me la sono sentita. In quel frangente si stava discutendo di quante pagine avremmo avuto a testa questo mese, si stavano facendo conteggi su conteggi. Io non ero in alto mare, ma comunque coi miei timoni non ero ancora arrivato in porto. Sentivo troppo fermento intorno a me, così sono rimasto in redazione. Qualcuno poi mi ha detto che so’ de’ coccio, perché è già la seconda volta che mi faccio troppe remore in una situazione del genere.
Il bello è che in redazione non c’erano nemmeno le alte sfere. Il brutto è che non ci sono nemmeno oggi, quando contavo di mostrare i miei timoni lucidati e pettinati (sì, i miei hanno il pelo, e allora??) a chi di dovere per discutere seriamente sul da farsi. Invece niente. La mia scelta del venerdì non era stata granché, ormai è chiaro. Avrei potuto andarmene e sistemare le cose stamattina, ne avrei avuto tutto il tempo. Non ho nemmeno il materiale su cui scrivere per potermi avvantaggiare. Sì, qualcosa da fare si trova sempre, perché qui vuoi o non vuoi non c’è mica tempo da perdere. Qui, dove si fanno già pronostici funesti sui prossimi due sabati. Qualcuno dice che si lavorerà. Qualcun altro fa gli scongiuri come se gli fosse passato davanti un flash mob di gatti neri.
La sagra delle scelte sbagliate è durata un po’ tutto il weekend. E’ cominciata sabato mattina, quando sono finalmente partito per la mia Baia. Come sempre ho fatto il cambio a Piacenza (che debba trovare un nome di battaglia pure per questa città??), dove come sempre ho compiuto il mio solito rito pagano. La colazione al bar. Un lusso a cui non mi va di rinunciare. Concedermelo mi dà l’idea di una piccola festa che sta per cominciare, di un primo assaggio di svago. E così è, in effetti. Ma al bar della stazione non ci sanno fare. Non sono scorbutici, ma non mi piace comunque il servizio. Così ho voluto cambiare. Ho attraversato il piazzale principale. Nel farlo sono stato fermato da una ragazza che avrà avuto più o meno la mia età. Non voleva rimorchiarmi, e francamente è stato tanto meglio così (i miei calzetti bucati hanno più sex appeal). Voleva vendermi delle stampe, forte del suo presunto status di orfana cacciata dall’orfanotrofio perché abbondantemente maggiorenne. Cinque euro non glieli ho voluti dare (mi ha chiesto l’equivalente di un cocktail a cui avrei dovuto rinunciare, a suo dire.. si vede che non mi conosce!), così le ho lasciato due euro per solidarietà. Poi ho proseguito verso il bar che avevo puntato. Era un locale gestito da giapponesi, davano musica truzza ed era frequentato da gente che non parlava la mia lingua e aveva la faccia da avanzo di galera. Poi magari sono dei santi scesi in terra, ma quella è stata la mia impressione. Fatto sta che ho cominciato a pensar male anche del mio giappuccino in arrivo. Che invece poi si è lasciato bere (non vedo, in effetti, perché avrebbe dovuto opporre resistenza). E allora dove sta la scelta sbagliata? Beh, tornando verso la stazione ho visto la sedicente orfana spipettare una sigaretta. Sembrava contenta. Io no. Per niente. Veniva verso di me. Le ho urlato “Sì ma se fumi non ci siamo, eh!”. Mi ha dato ragione, ha detto che è un viziaccio che si deve togliere, poi ha aperto la borsetta per farmi vedere che non c’erano pacchetti. Che non le aveva comprate, insomma, e che quella che aveva in mano l’aveva scroccata da un altro ragazzo lì sul piazzale. Vabè. Ho proseguito. Non volevo perdere il mio treno per la smania di darle quattro schiaffi.
La scelta di cui non mi pento è quella di essere ripartito stamattina per tornare in questa fottuta Metropoli. Stamattina, e non ieri, evitando di far abortire la mia splendida domenica proprio sul più bello. Ho fatto la vendemmia con la mia famiglia, come ogni anno, e sono stato con il mio amico finché ho potuto. E non importa se stamattina il viaggio è andato come è andato. Si avverte che a causa di un problema al materiale rotabile il treno viaggia con un ritardo di dieci minuti, ha detto la stronzissima voce registrata del treno. Io per il cambio ne avevo soltanto sette. Il materiale rotabile, poi, sono diventate le mie palle.
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Non avevano niente da fare..