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Di nome ma non di fatto

27 Mar

Giorni fa vi ho beccato con le mani nelle ostriche. Oddio, non lo so, in realtà, se ci fossero pure quelle. Ma lo champagne sì. Lo champagne c’era eccome. Ve l’ha portato il distinto cameriere del locale a fianco, direttamente in redazione. Se ne stava tutto impettito, lui, con il cestello pieno. Pieno di champagne, appunto, e di ghiaccio. Tanto ghiaccio. E bicchieri, tanti bicchieri, sul vassoio che reggeva con attenzione senza rinunciare mai alla sua posa impettita. La forma è importante, già. Ma la sostanza, a casa mia, lo è molto di più. La sostanza è che vi siete fatti portare in redazione una bottiglia di champagne – con tanto ghiaccio e tanti bicchieri-. La sostanza è che io passavo di lì proprio in quell’istante. Le mie pupille sono inciampate per caso sul petto impettito del ragazzo-cameriere che ve l’ha consegnato e probabilmente servito. Me ne stavo lì, a guardare la scena. E a pensare l’inevitabile. A pensare quanto quella stessa scena fosse un tremendo e immorale schiaffo alla crisi. Non tanto a quella economica su scala globale, ma a quella di un settore che non agonizza. E’ già in coma.

Quanto li pagate i vostri collaboratori? Ma soprattutto, li pagate? E quanti stagisti avete? Quanti redattori avete mandato a casa negli ultimi anni? Quanti tagli avete fatto per riuscire a sopravvivere, voi e il vostro giornaletto di parte? A quante bocche avete tolto il pane, per riempire le vostre di pregiato e bollicinante champagne?

Vedete, questo post rischia di essere una bufala colossale. Ci ho riflettuto per giorni prima di pubblicarlo. La verità è che io non lo so il motivo di quel vostro brindisi. Magari era il compleanno di qualcuno. Magari qualche caporedattore sta per diventare papà. Magari se ne va in pensione un veterano o, meglio ancora, avete assunto venti persone tutte in un colpo e avete giustamente pensato di festeggiare. E’ possibile che i vostri conti siano a posto – oggi come oggi non sarebbe poco – e di fronte al bilancio con il segno più abbiate deciso di dedicare un dignitoso e meritato prosit a tutta la vicenda. Vedete, queste sono tutte le possibili verità. Queste, insieme a tante altre che ora non mi vengono in mente. Ma poi è arrivata la prima pagina di oggi. Poi è arrivata lei e ho deciso di fregarmene di tutte queste stramaledette opzioni. Ho capito che – a prescindere dalle bollicine che ingurgitate – non c’è rispetto in quello che fate. E non vedo perché io debba farvi sconti. Non vedo perché io debba avere rispetto per voi.

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E’ anche per colpa di gente come voi se questo mestiere non ha più una dignità.

A serious man

25 Set

Che qua non c’è mica tempo da perdere. Che lo status di disoccupato non può mica essere un alibi. Qua tocca tenersi al passo, stare in carreggiata. Ci vuole l’impeto del guerrafondaio. Bisogna sentire dentro l’ardore della sfida. Guardare la vita in cagnesco e abbaiare. Bau! Bau!, anche se gli inglesi direbbero Woof! Woof! L’ho imparato qui. Qui, dove sto prendendo lezioni d’inglese, mia grande lacuna per il lavoro che svolgo. Qui. Gente seria tra gente seria.

A serious man

Tonno subito

5 Set

La noia. Il senso d’impotenza. L’orgoglio ferito. Il portafogli vuoto. Il conto in rosso.

Balle. Il vero dramma dell’essere disoccupati è che dopo aver fatto colazione (rigorosamente non prima delle 10), alle 11 hai già una fame boia. Perché sei a casa, e il frigorifero se ne sta lì, a fare comunella con la dispensa, a mo’ del gatto e la volpe, sempre pronti a tentarti. Aprimi! C’ho la robba buona, io!, ti bisbigliano manco fossero dei pusher. E tu, Pinocchio senza più reddito né autostima, cedi alle loro lusinghe e ti becchi il nasone di legno in quel posto. Per vedere la balena di Collodi, poi, ti basta passare a salutare lo specchio.

Ora scusatemi. Ma non ve ne andate, eh.
Tonno subito.

Tonno subito

Non ho mica tempo da perdere

2 Set

– Kronny, poi ho parlato con mio padre per quella storia dell’edicola..
– Ah sì?
– Sì.. per i 150mila euro che servono per rilevare l’attività..
– Ah..
– Dice che se trovo qualcuno che faccia a metà con me lui mi fa da garante per chiedere un mutuo da 80mila..
– Ah..
– Eh..
– …
– …
– Ci stai provando?
– Eh?
– Ci stai provando?!
– No! Cosa..?!
– Guarda che io i giornali li voglio fare, non vendere!

Non ho mica tempo da perdere

EUROTeleKronaKus (5).. O no?!

30 Giu

Ho fatto il pigro. Anzi, ho fatto lo stanco. Anzi, ho fatto quello che era appena tornato da un lungo viaggio che potrebbe cambiargli la vita. No, niente Tibet. Ero da tutt’altra parte, ma ne riparlerò. Fatto sta che al calcio d’inizio della semifinale contro la Germania dovevo ancora sceso dal treno. L’Italia in campo, e io ancora sul Fecciarossa intento ad attraversarla. Appena tornato ero esausto. Scarico. Io. Io e il mio iPhone. Sono partito con il caricabatterie. Cioè, sì, forse. Sono partito con il cavo usb che fa anche da caricabatterie, ma senza la punta, lo spinotto che si attacca alla corrente. Me ne sono accorto all’andata, ma comunque troppo tardi. Ho fatto giusto in tempo a scrivere questo status su Facebook, per poi pentirmene:

Il Fecciarossa ha due vantaggi (e quelli soltanto). Il primo è che puoi ricaricare il telefono mentre fuori ti cambia il paesaggio. Il secondo è che ti alleggerisce con convinzione il portafogli. E con quest’afa meno zavorra hai e meglio è. O no?!

Poi sono andato per caricare, ma ho visto che mi mancava un pezzo. Che mi mancava il pezzo. Un po’ di panico, poi l’idea di supplicare per un qualsiasi tipo di aiuto alla reception dell’hotel in cui già avevo prenotato una singola. Una singola bollente e abitata da zanzare che non ti pungono, ti impiantano direttamente un nuovo capazzolo. Alla fine me lo son fatto caricare tramite usb dal gentilissimo receptonist anglo-qualcosa, che dopo aver controllato se qualche altro cliente incline alla tontolaggine avesse per caso lasciato lì un caricabatterie (intero) per iPhone. Niente da fare. Allora ha usato il portatile dell’hotel, anche se c’ha messo tanto, troppo, e alla fine non si è caricato del tutto. Sicché al ritorno era già scarico. Lui. E io. E non mi andava proprio di stare attaccato alla presa per scrivere minchiate mentre i ventidue nonpiùalleatichelaguerraèfinitadaunpezzo erano intenti a rincorrere un testicolo troppo cresciuto.

Adesso però mi tira il culo. Qualcuno mi ha fregato il “lavoro”. Qualcuno che farebbe molto ridere, non fosse che ci sarebbe da piangere.

Io sono zanzara

30 Mag

La Baia delle Zanzare torna a ronzare. Che ci fa anche rima. E non è soltanto colpa del calendario, che ricorda alle maledette succhiasangue che è di nuovo l’ora di spolpare le nostre povere vene. Tipo Agenzia delle Entrate, insomma. E no, non è nemmeno colpa del mio Mosquito, a dispetto del nome (in inglese significa proprio “zanzara”) e del rumore che fa.

E’ che qualcosa si sta muovendo, in questa città in cui il sole a volte ride ma la gente un po’ meno. Sento ronzare, sì. Sono rotative che ripartono. Ma a pensarci bene questo chiasso incessante comincia proprio da me. Io sono zanzara. E quelle rotative sono le vene che ho intenzione di spolpare.

Meglio non illudersi, però. Ci andrò con i piedi di piombo. Insomma, userò le mie precauzioni.

Come in una mela marcia

22 Mar

Ho letto questo e poi ho commentato. A me a una cert’ora si aprono le acque.

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E’ in corso un cambiamento più grande di noi, ma sta a noi dimostrare di non essere troppo piccoli per cavalcarlo. Il futuro non è di carta, anche se la carta, ritengo, è e resterà immortale. Ma come giustamente viene sottolineato sta cambiando il suo ruolo. Bene. Parliamo però di occasioni. Parliamo di possibilità. Parliamo di porte che si potrebbero aprire, non di quelle ancora aperte ma che rischiano di chiudersi. Il domani di questo mestieraccio sta in Rete, e noi dobbiamo essere i pesci in grado di restare a galla, ma soprattutto di seguire l’onda e di trarre beneficio da questa (non più tanto) nuova corrente. Si va per tentativi, ma soprattutto si va a tentoni. Non importa. Bisogna inventare e inventarsi. Osare senza dosare. Nuotare, nuotare, nuotare. Continuare senza abboccare agli ami sbagliati. Buonanotte.

Toh, un verme.

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Il gallo del malaugurio (2)

18 Nov

E dire che stavo soltanto cazzeggiando con il mio iPhone. Il giornale dei sogni non arriva mica in questa sperduta Baia delle Zanzare, e allora mi sono procurato la mia bella app che in un tap mi rende up aggiornandomi sulle sue uscite. E tutto questo alla modica cifra di zero cent, anche se alla fine il quotidiano me lo leggo con almeno un giorno di ritardo sull’uscita effettiva. Un vero affare (e ci manca che devo pure pagarlo, il giornale che mi deve due sfoglie da cento che probabilmente non vedrò mai).

Purtroppo il cazzeggio si è presto trasformato in qualcos’altro. Dal mio solito ghigno sornione sono passato ad avere un’espressione tipo Urlo di Munch. Ho aperto l’ultima edizione uscita e tanti saluti. Letteralmente.

Fa male sapere che dietro tutto questo ci sono i ricatti di un partito che un tempo si è preso anche il mio voto. Oggi mi vedrei bene dal concederglielo. A maggior ragione adesso, nonostante condivida le idee di fondo di certe teste calde che però hanno dimostrato di essere pure vuote, figlie di un sistema che dovrebbero combattere, e non assecondarlo fino a scomparire in questo mare di indecenza. Stiamo andando veramente a fondo. Questi partiti sono partiti di testa. Gli interessi della politica hanno fatto terra bruciata a chi avrebbe semplicemente voluto fare il proprio mestiere. L’arroganza ha trionfato sull’onestà. E’ un mondo di merda, e puzza da far schifo.

Il gallo del malaugurio

17 Nov

Driiin. Svegliati, pargoletto svegliati. Che il tempo dei sogni ormai è finito. Svegliati, cronista sognatore cronico. Il tuo giornale dei sogni è morto, o perlomeno è finito in rianimazione sospesa. Il mercato non ha scrupoli, e la macchina del fango è molto più di una definizione coniata da Saviano. E’ un mondo piccolo fatto di gente piccola. E di un mercato largo come la cruna di un ago.

Questo è un fulmine a ciel variabile. Che sarò pure ingenuo, ma non al punto da non capire che tirava una cattiva aria ormai da tempo. Un anno fa mi sono imbarcato con loro. Oggi mi mancano all’appello la bellezza di duecento euro. D’altronde da quella sponda ho sempre ricevuto parole di stima, ma mai quattrini.

Non ho mai avuto le pupille a forma di euro, e non è certo questo il momento migliore per cominciare ad averle. Mi tengo stretto la mia nicchia dorata, fatta di belle parole, di articoli gioiosi, di una scrittura addobbata a festa con perle creative e ghirigori verbali. Mi tengo il mio mondo piccolo fatto di cose piccole. Un mondo che mi ripaga in complimenti, ma anche con bonifici puntuali.

Guardo avanti. In fondo qui intorno la terra era bruciata già da un po’. E incrocio le dita. Il giornale dei sogni potrebbe tornare dall’aldilà. Ma al di là di questo io resto nell’aldiquà. Occhi vigili e sguardo attento. Sono un cronista sognatore cronico, ma ho ancora orecchie buone per sentire quando la sveglia suona.

Più responsabile di Scilipoti (2)

7 Mag

Smile. Mi sono ritrovato davanti a uno specchio a sorridere come un ebete grazie a una persona appena conosciuta. Un grafico pazzesco, esperto e acuto. La nuova rivista che dovrei dirigere cresce. Lenta ma cresce. Abbiamo un nome, e quasi quasi abbiamo pure un logo. Ma la cosa bella, anzi bellissima, è che siamo in buone mani.

Due sere fa io e l’ideatore del progetto abbiamo incontrato l’uomo che darà forma al nostro periodico, che poi è anche un suo amico. L’uomo, non il periodico. Mi aspettavo un giovanotto smanettone, un geek appassionato di cose grafiche che per diletto gioca con Paint e Photoshop invece che con le donnine. Ma no. Tutt’altro. Mi sono ritrovato a casa di una persona, gentile, affabile e pure fidanzata. Con addirittura dieci anni di esperienza alle spalle. Di lavoro, non di fidanzamento.

Quando siamo arrivati aveva già Illustrator aperto con cinque o sei bozze di logo sullo schermo del suo portatile, piazzato su un tavolino di vetro. Aveva cataloghi con millemila campioni di carta, e ci ha mostrato la più adatta per noi per grammatura e resa dei colori. Aveva pure i preventivi per la stampa, quasi il doppio del previsto. Ma aveva anche il listino prezzi per gli spazi pubblicitari, preso in prestito da un’altra free press della zona in cui lui ha dei contatti. Tremila le uscite previste, contando che direttore (io) e grafico (lui) s’imbarcheranno nel progetto senza chiedere una lira (e per forza, sono nove anni che c’è l’euro!). Ma seimila sono le entrate che si spera di ottenere. Un’impresa più che ardua, però lo spirito è quello giusto.

Il re dei loghi ha messo in chiaro due o tre punti chiave. Il più importante è racchiuso in una sola parola: qualità. Che poi dev’essere la nostra più grande mira, almeno per iniziare. Occuparsi di arte in modo dozzinale sarebbe improduttivo, anche per far presa sugli sponsor. Qualità della carta, qualità del formato, qualità della grafica. E qualità dei testi, di cui mi assumerò tutta la responsabilità. D’altronde sono più responsabile di Scilipoti. E mi sento ancora una volta carico di un nuovo entusiasmo.

Giorni cruciali

29 Gen

La caldaia nuova? Non dirò nulla. Non dirò che la mia casa si è trasformata da Polo Nord a Equatore. Non dirò che scrivo facendo la sauna, e che ci sono già dei piccoli problemi per cui stamattina è dovuto tornare il tecnico. No, non lo dirò.

Ok l’ho detto, ma non importa. Mi fermo qui. E’ che il resto sta andando così a gonfie vele che a confronto le tette di Lolo Ferrari sono poco più che noccioline. Tutto è cominciato ieri sera, quando ho portato il computer dal dottore (un mio amico che ne sa più di Bill Gates e Steve Jobs messi insieme) per risolvere una volta per tutte il problema della ventola. Era dallo scorso aprile che si spegneva per surriscaldamento. Mi ha formattato tutto. Ora a suo dire ho un computer che lavora al massimo del suo potenziale, e pare che sia ancora una bella macchinuccia, che questi due anni di onorata anzianità non li dimostri affatto. Bene. Ma nonostante gli elogi, di partire la ventola non ne voleva proprio sapere. No no. Perché non era questione di driver o di sistema operativo. La soluzione? Due o tre colpetti da fuori con uno stuzzicadenti. E via. Adesso fa talmente casino che mi sembra di lavorare con una portaerei. Proprio come ai vecchi tempi. E io godo.

Meno uno. Poi il cell dalla batteria moribonda che mi ha retto una chiamata di oltre un’ora, e il vecchio caricabatterie che è tornato improvviamente a funzionare (anche se soltanto per una notte.. ok, facciamo un quarto d’ora). Ma è stata la prova che qualcosa stava accadendo. Tutto è cominciato due sere fa, all’ora di cena, quando mio padre ha scoperto di aver vinto al lotto. E al superenalotto. Cioè, ha fatto tre, insomma un bottino da dodici miseri euro. Noccioline, mica come le tette della cara Lolo. Però colpisce la strana congiuntura astrale che ha fatto coincidere una serie di ambi e terni (di certo ha aiutato la fissa di mia padre di giocare le stesse schedine in ricevitorie diverse..) più una vincita al superenalotto, cosa che non ci succedeva da circa tre anni. Più il computer rinato, il cellulare che fa gli straordinari e il caricabatterie resuscitato dall’oltretomba. Ma il meglio doveva ancora venire.

Sono giorni cruciali. Ieri ho vissuto emozioni forti, continue. Ho ricevuto notizie importanti. Alcune intere, altre soltanto a metà. Al punto che la sera, al pub con gli amici, non sapevo a cosa brindare. Cioè, a cosa brindare prima. Se alla notizia, quella intera, della mia ammissione all’orale (no Silvio, non è come pensi). Oppure se la notizia, quella mezza, che forse un giornale locale sta cercando qualcuno che scriva dalla Baia delle Zanzare, nientemeno che la mia città.

La storia è infinita, un po’ come in quel film che mi aveva incantato da piccolo. Vi basti la mia gioia. Vi basti sapere che su consiglio del mio fumettaro di fiducia ho provato ad approfittare dell’immensa fortuna che ho in questi giorni, di un culo grande quanto il mondo intero. Ho giocato al Superenalotto. Chissà che stasera non vinca pure io la bellezza di dodici euro.

Sono piccole soddisfazioni

16 Apr

Sarà una cazzata, e probabilmente lo è. Ma oggi mi sento appagato, e il motivo è semplice.

Stamattina mi hanno incaricato di scrivere un pezzo, una cosa di cui non so nulla.
Mi sono documentato.
Ho fatto telefonate.
Ho fatto interviste, anche di straforo.
Ho unito i puntini.
Ho cercato il bandolo della matassa.
Ho abbozzato qualcosa.
Ho scritto il pezzo vero e proprio.
L’ho letto.
L’ho riletto.
L’ho corretto.
L’ho ricorretto.
L’ho fatto vedere al prof, e andava bene.
L’ho messo in pagina, due volte perché il computer ha scazzato.
L’ho titolato una volta, due volte, tre volte.
Ho stampato la pagina.
L’ho fatta vedere al prof, andava bene pure quella.
Mi sono guardato allo specchietto retrovisore della macchina mentre tornavo a casa, pochi minuti fa.
Mi sono detto: “Bravo Kronakus. Sarà una cazzata, e probabilmente lo è. Ma non avevi mai fatto tutto questo in un solo giorno”.

Una lettera per cambiare

9 Feb

Siamo alla fase due. Forse. Noi della scuola cerchiamo un riscatto. Per noi, per i docenti e per la scuola stessa. Che è considerata tra le migliori in Italia, ma che quest’anno è caduta giù in picchiata. Toccando, probabilmente, i minimi storici in quanto a qualità.

Abbiamo scritto una lettera aperta. Aperta a noi, una sorta di documento open source elaborato a sessanta mani. O quasi. Io, per esempio, non ho partecipato al botta e risposta via mail che ha portato alla stesura del testo finale. Ma non me ne preoccupo. Ero troppo preso dalla mia tristezza, dovuta alla scomparsa della mia gatta, per pensare a una stupida lettera. Che potrebbe, sì, dare una svolta ai due mesi di scuola che mi restano, oltre che alla mia stessa formazione. Ma non importa. La vita e la morte stanno sopra ogni cosa.
E poi il documento è deciso, incisivo, preciso. Lo condivido, mi va bene così. Contiene richieste dettagliate, elenca qualche pregio e una marea di difetti da correggere subito. Offre proposte mirate per migliorare la nostra scuola e per riportarla agli antichi splendori.
Si salva solo il giornale di carta. La tv va bene, ma occorrono tempi di lavoro più ristretti o si rischia la catalessi. La radio è allo sbando, siamo passati dai radiogiornali agli speciali, e per più di metà del tempo si cazzeggia su Facebook. Il lavoro che sta dietro gli articoli online è male organizzato. E l’agenzia, aggiungerei io, è quasi una farsa.

C’è un malcontento così grande che si taglia a fette. Con questa lettera cerchiamo di dare un senso al prossimo bimestre. Vogliamo prendere il meglio da questa scuola. La stessa scuola che ascolta di buon grado le nostre richieste, sì, ma che non manca di puntare il dito contro di noi. Che siamo sempre meno motivati, sempre più abbandonati e passivi sul lavoro. Un motivo ci sarà, dico io. Anche se, è vero, ogni cambiamento non può che partire da noi stessi.

Il fantasma formaggino

28 Gen

Questi formaggini non si staccano dalla carta!, ho pensato. E mentre mi passava per la testa questa frase, la mia mente ha fatto uno strano collegamento. Poi ho sorriso per il frutto malato dei miei soliti giochi di parole.

Ho pensato che quei formaggini fossero un po’ come certi giornalisti che restano alle radici della professione, con il capo chino e l’orgoglio a mille watt, come la radio degli 883. Giornalisti ancoràti a un passato che troppo passato non è. Giornalisti che non si staccano dalla carta, insomma. Proprio come formaggini.
E vero: la mia testa avrebbe bisogno di un po’ di aria fresca!

Poi ho riflettuto meglio. Ho capito la nostalgia di certi colleghi di fronte al nuovo che avanza. Di fronte a un giornalismo che è sempre più tecnologico, sempre più sintetico. Sempre più lontano dall’odore di quel vecchio, grande feticcio di cellulosa. Me li immagino reclusi, ma con gioia, dentro redazioni sempre più invecchiate. A girovagare come fantasmi, tra il ricordo della macchina da scrivere e quello di un computer che è stato accettato, sì, ma con un po’ di sforzo.

Chissà come sarà il futuro. Chissà se anch’io, un giorno, dovrò far fronte ai cambiamenti di un mestiere che si evolve con la tecnica. Chissà se diventerò anch’io, un giorno, un fantasma formaggino.

Bididibodidibù

24 Ott

Alacabula megicabula bididibodidibù
fa la magia tutto quel che vuoi tu
bididibodidibù

Per esempio può far sparire dalla circolazione il Burbero. Che è stato in ferie per due settimane, ma poi è tornato e dopo qualche giorno di velata umanità si è tolto le sue vesti di falso civile e si è di nuovo adeguato ai suoi standard relazionali sul modello troglodita.

“Ma abbiamo ancora uno stagista, in questa redazione?”. Mi cercava. Che tenero!
Mi ha fatto scrivere tre brevi. Anzi due, la terza l’ha dovuta togliere mentre stavo cominciando a scriverla. Poi mi ha dovuto dire qualcos’altro. Quindi mi ha cercato di nuovo.
“..Com’è che si chiama lo stagista?..”, ha chiesto ai suoi vicini di desk. Un po’ sottovoce, per quanto possa parlare sottovoce un energumeno incline al razzismo e all’intolleranza. E’ regolare che io l’abbia sentito anche da distante, e il fatto che nessuno gli abbia risposto non è buon segno. Spero fossero in altre faccende affaccendati. Perché se dopo due mesi non si ricordano il mio nome, o io sono Casper o loro hanno l’alzheimer.
Ma alla fine ha trovato lo stesso un modo carino e gentile per chiamarmi.

“Oh!!”, ha gridato il selvaggio dalla sua giungla tecnologica. Io mi sono voltato, ma lui si era già incamminato verso di me con una bacchetta in mano. Sul mio volto era già comparso un ghigno. Avevo capito che voleva “bacchettarmi” per qualcosa, ma il “come” mi faceva ridere. Anche se in fondo il suo modo di prendere le cose così alla lettera m’inquieta un po’.
La prima breve era sui nuovi autovelox che installeranno sulla statale. L’attacco chiamava per nome i marchingegni in questione, così ho titolato usando un sinonimo. Dispositivo al posto di autovelox.
“Che cazzo è dispositivo? Come si chiama quel dispositivo?”
Autovelox“, ho risposto sicuro.
“E allora scrivi autovelox!! Perché cazzo scrivi dispositivo?!”
“Perché l’ho messo anche nell’attacco”.
“Ma che cazzo ti frega dell’attacco?!? Ma sei metto a guardare l’attacco?! Un conto è il titolo e un conto è il pezzo!!”.
E un altro conto, ho provato a spiegargli, è che a distanza di una riga, tra titolo e testo, si ripeta per due volte la stessa parola. Una quisquiglia. Niente di rilevante. Niente per cui bacchettare. Niente per cui reagire con aggressività, ma se non fosse stato scontroso di default non avrei avuto motivo di chiamarlo “Burbero”. Niente per cui venire da me con una bacchetta in mano. Appoggiandola, ma molto molto piano, sul mio braccio. Fingendo di colpirmi.

Ma forse quella bacchetta era magica, in realtà. Alacabula megicabula bididibodidibù, fa la magia tutto quel che vuoi tu, bididibodidibù. E oggi posso festeggiare il mio ultimo giorno in questa redazione senza il Burbero tra i piedi, impegnato altrove per impegni sportivi. Lui, nel Borgo delle Cose Rotonde, è un’autorità del pallone, e oggi ha ben altro da fare.
Fiestaaa!
Anche se avrei ben poco da festeggiare. Per il mio pezzo, quello congelato da una settimana neanche fosse un sofficino Findus, è forse partito l’ultimo requiem.

La classe non è acqua (2)

23 Ott

L’altro stagista: “Almeno questa volta posso dire di aver fatto un lavoro alla fonte…”.
Io: “Più che altro, alla fontanella…”.

Siamo giovani.
Siamo sarcastici.
Siamo autoironici.
Più che i giornalisti dovremmo fare i comici.

La classe non è acqua

23 Ott

La classe non è acqua, e infatti qui sarebbe meglio darsi al vino. La classe non è acqua, ma non la si può bere per dimenticare. La classe non è acqua, e qui, di sorseggiare un po’ della nostra, pare che nessuno ne abbia davvero voglia.

Io l’ho scampata. Mi hanno messo a pasticciare con le agenzie per quel disgraziato del nostro sito. Disgraziato perché poco aggiornato. Disgraziato perché messo in mano a due stagisti. Ma su questo non sono nella condizione di lamentarmi. Perché non fosse per il sito non saprei proprio come passare il mio tempo in redazione. Facebook a parte.
Io l’ho scampata, dicevo. Ma il mio collega di stage direi proprio di no. A lui è toccato giocare con l’acqua. Perché a noi, il fuoco non lo fanno neanche vedere. L’hanno mandato a “prelevare” quell’antica miscela di idrogeno e ossigeno dalle principali fontane della città. La sede centrale di questo prestigioso quotidiano ha chiesto alle redazioni locali di verificare lo stato di salute dell’acqua pubblica. Il mio collega, bottigliette di plastica alla mano, ha passato il pomeriggio di fontana in fontana. E una volta tornato gli hanno consegnato un kit di strisce e cartine. Niente droga, per fortuna. Era “soltanto” il set del piccolo chimico, per improvvisare seduta stante tutta una serie di analisi sui campioni prelevati.

Lui ha provato a coinvolgere anche me. Non si sentiva troppo sicuro, e lo capisco. Ma per mia fortuna dovevo scrivere il pezzo della vita (l’ennesima cazzatella per il sito), e il caposervizio del web (un ragazzotto poco più grande di me) mi ha rispedito al desk. Loro due, invece, si sono messi a
smanettare fino a sera nel tentativo di raccapezzarci qualcosa. Di capire se quell’acqua fosse santa oppure di fogna. Sembravano due piccoli scienziati pazzi in cerca di chissà quale miracolo.

“Siamo finiti ben al di sotto della soglia della bassa manovalanza”, ha commentato più tardi lo stagista. E come dargli torto? Anche se in fondo lui è stato contento, perché non vedeva l’ora che lo mandassero a lavorare fuori da queste quattro mura. Ed è stato accontentato. Credo che la prossima volta ci penserà due volte prima di esprimere un desiderio.

Artigiano della parola

22 Ott

Fare interviste mi piace. E lavorarle mi fa sentire come fossi un artigiano della parola. Per questo sono contento che oggi il Fantasma Stonato mi abbia detto di scrivere il pezzo sulla fumettista con cui ho parlato la scorsa settimana. Quando lui era in ferie, e quando il Vice-qualcosa mi aveva dato l’ok per questo articolo che sarebbe dovuto andare in pagina prima del ritorno di quello spettro anacronistico del suo (e del mio) capo. Insomma, prima che tornasse il Fantasma Stonato. Ma niente da fare. Sul giornale non c’è stato abbastanza spazio, e io sto elemosinando ogni giorno (e con scarso successo) uno spazietto per piazzare il mio pezzo prima che me ne vada. Cioè dopodomani, il giorno in cui qua dentro saluterò tutti quanti. E chi si è visto si è visto.

Sì, mi ha detto di buttare giù l’articolo. Ma nemmeno oggi c’è posto per me. Ha già dovuto scartare diverse cose, perciò anche oggi passo il turno.
Meno due alla fine. Speriamo bene.

Pinguini e zanzare

21 Ott

Oggi fuori fa freddo, sì, ma meno di ieri. Eppure è stata una giornata da brividi, qui in redazione. Di sensazioni eterogenee, di momenti che dicono tutto e il contrario di tutto.

Stamattina il direttore si è dileguato pochi minuti dopo le 13. Mai visto: lui è uno che la redazione la molla solo se rischia la fame. O la sete. O la peste bubbonica. E già gira voce che ci sia di mezzo una donna. Bene. E se è vero che c’è un amore per tutte le stagioni, spero tanto per lui che nelle sue mutande non sia già calato l’inverno. E che là sotto, a sessantanni suonati (anche se lo stagista gliene dà molti meno), funzioni ancora tutto come si deve. Chissà, magari siamo noi infidi a pensare male, e invece il direttore ha lavorato pure nella pausa pranzo. Magari si è fatto un giro di nera. E ad andare a letto con una donna di colore, io non ci vedo proprio niente di male.

Ma son stati brividi anche per l’altro stagista. Stamattina è arrivato qui in redazione convinto che fosse il giorno del riscatto. Già da ieri aveva fissato, su consenso del Fantasma Stonato, un’intervista a un cantautore di questa città. Lui ama la musica, se si è dato al giornalismo è proprio perché vorrebbe scrivere di musica. Un’utopia. Ma non tutte le utopie vengono per nuocere.
A metà mattinata la doccia fredda: anche il redattore che si occupa della politica aveva espresso l’intenzione di fare la stessa intervista. E guai a scavalcare i cronisti di ruolo. Anche se in effetti è come se il cronista di calcio scrivesse qualcosa sul bilancio comunale. Ok la flessibilità, ma qui ci si spezza!

Siamo andati a pranzo insieme, io e l’altro stagista. Un pranzo magro: il solito baretto, che di solito è ben fornito, è stato preso d’assalto da tanti pinguini incravattati. Del resto è freddo, e io alle coincidenze non credo. E tra una fetta di rosbif e l’altro abbiamo parlato delle nostre aspettative per questo finale di stage. Finale per me, non per lui che resterà fino a metà novembre. Io invece sabato saluto tutti e me ne torno nella mia adorata Baia delle Zanzare. Anche se mi aspetto che le zanzare se ne siano già andate via tutte. (Che poi qualcuno ha mai visto pinguini e zanzare stare sotto lo stesso tetto?!)
Nel pomeriggio la smentita: il redattore del politico ha altre beghe di palazzo da dover gestire, e in fondo non si è attivato davvero per fare quell’intervista al cantautore che per domani rischia di venire bruciata dalla concorrenza. “Grazie della delicatezza, scrivila pure tu – gli ha detto il redattore – Ci mancherebbe!”. E’ stato gentilissimo. E così, salvo scossoni dell’ultimo minuto (so che stai leggendo, tieni quelle mani sulla tastiera!!), questo sarà davvero il suo giorno del riscatto.

Il mio, invece, deve ancora arrivare. “Oggi non c’è spazio – mi ha detto il Fantasma Stonato – vediamo domani”. E la mia intervista slitta ancora. E io, tra pinguini e zanzare (e nebbia ai locali a cui do del tu), finirò per diventare un asso del bob.

Profugo di redazione

20 Ott

Troppa gente e pochi computer. E- la realt’ di questa redazione, e io mi ritrovo a vagare come un profugo di pc in pc. Ogni volta reinstallando Firefox per navigare senza che mi si blocchi tutto. E per chattare su Facebook. Configurando il browser in modo da non lasciare traccia del passaggio di KronaKus.

Questa volta il periodo delle ferie [ finito davvero. L-altro stagista si [ sistemato in una postazione libera. Io nel frattempo ho girato tra i computer dei redattori in siesta. Saltando da uno all-altro in base alle loro settimane di stop. Torna uno, e via che si cambia. Ma a cinque giorni dalla fine del mio stage, eccomi qua in questo surplus di giornalisti. Senza fissa dimora. E sempre con meno cose da fare. Eh s=, sabato si finisce, e tanti saluti all-ennesimo stage sfalsato. E di dubbia utilit’.

Oggi, poi, mi ritrovo davanti a un computer con la tastiera sballata *ve ne siete accorti__(. Che mi fa certi simboli al posto di altri. Ho provato a reimpostarla, ma non ci sono riuscito. E di usare il codice ascii non ne ho proprio voglia. Almeno per il blog, perch{ quando scrivo articoli sono costretto a rigare dritto. Il cronista che [ in me ha un suo nome e una sua faccia. Invece il blogger [ clandestino.