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Di nome ma non di fatto

27 Mar

Giorni fa vi ho beccato con le mani nelle ostriche. Oddio, non lo so, in realtà, se ci fossero pure quelle. Ma lo champagne sì. Lo champagne c’era eccome. Ve l’ha portato il distinto cameriere del locale a fianco, direttamente in redazione. Se ne stava tutto impettito, lui, con il cestello pieno. Pieno di champagne, appunto, e di ghiaccio. Tanto ghiaccio. E bicchieri, tanti bicchieri, sul vassoio che reggeva con attenzione senza rinunciare mai alla sua posa impettita. La forma è importante, già. Ma la sostanza, a casa mia, lo è molto di più. La sostanza è che vi siete fatti portare in redazione una bottiglia di champagne – con tanto ghiaccio e tanti bicchieri-. La sostanza è che io passavo di lì proprio in quell’istante. Le mie pupille sono inciampate per caso sul petto impettito del ragazzo-cameriere che ve l’ha consegnato e probabilmente servito. Me ne stavo lì, a guardare la scena. E a pensare l’inevitabile. A pensare quanto quella stessa scena fosse un tremendo e immorale schiaffo alla crisi. Non tanto a quella economica su scala globale, ma a quella di un settore che non agonizza. E’ già in coma.

Quanto li pagate i vostri collaboratori? Ma soprattutto, li pagate? E quanti stagisti avete? Quanti redattori avete mandato a casa negli ultimi anni? Quanti tagli avete fatto per riuscire a sopravvivere, voi e il vostro giornaletto di parte? A quante bocche avete tolto il pane, per riempire le vostre di pregiato e bollicinante champagne?

Vedete, questo post rischia di essere una bufala colossale. Ci ho riflettuto per giorni prima di pubblicarlo. La verità è che io non lo so il motivo di quel vostro brindisi. Magari era il compleanno di qualcuno. Magari qualche caporedattore sta per diventare papà. Magari se ne va in pensione un veterano o, meglio ancora, avete assunto venti persone tutte in un colpo e avete giustamente pensato di festeggiare. E’ possibile che i vostri conti siano a posto – oggi come oggi non sarebbe poco – e di fronte al bilancio con il segno più abbiate deciso di dedicare un dignitoso e meritato prosit a tutta la vicenda. Vedete, queste sono tutte le possibili verità. Queste, insieme a tante altre che ora non mi vengono in mente. Ma poi è arrivata la prima pagina di oggi. Poi è arrivata lei e ho deciso di fregarmene di tutte queste stramaledette opzioni. Ho capito che – a prescindere dalle bollicine che ingurgitate – non c’è rispetto in quello che fate. E non vedo perché io debba farvi sconti. Non vedo perché io debba avere rispetto per voi.

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E’ anche per colpa di gente come voi se questo mestiere non ha più una dignità.

Da consumarmi preferibilmente entro il (2)

17 Dic

Stamattina. Ero ancora mezzo nudo quando mi hanno telefonato per avvisarmi dei pinguini che avrei trovato in redazione. Sentirmi dire di portarmi un secondo maglione per il freddo che avrei patito non è stato proprio il modo migliore per svegliarmi. Soprattutto perché ero appena uscito dalla doccia, mi dovevo ancora vestire e, diciamolo, non è propriamente Ferragosto. Senza contare che davanti a me vedo finalmente una luce (di Natale) in fondo al tunnel, e la mia voglia di andare a lavoro, oggi, era pari alla simpatia che gli esodati provano per la Fornero. Così al telefono ho sentito come un brivido doppio lungo la schiena. D’altronde in redazione era finito il gasolio, e questo poteva significare soltanto una cosa. Niente riscaldamento.

Ok, il mio contratto è al capolinea. Ma non mi aspettavo il trasferimento in Groenlandia così da un momento all’altro. E ok, l’ho paragonato a uno yogurt in scadenza, ma non c’era bisogno di mettere lui (e tutto me stesso) dentro una sorta di cella frigorifera.

Per tutta la mattina ho premuto i tasti del Mac a trecento all’ora, per non ritrovarmi dieci polaretti al gusto carne al posto delle dita. Poi il pranzo aziendale pre-natalizio. La direttrice ci ha offerto un pasto caldo nel suo solito locale di fiducia. Il tutto innaffiato con vino e champagne finale (nella Metropoli a Gas hanno strani irrigatori a forma di damigiana). A un certo punto il freddo accumulato in redazione era sparito. Non tanto perché in quel bar c’era un impianto di riscaldamento funzionante, ma probabilmente per l’alcol ingurgitato. Tanto la prospettiva era quella di tornare al volo in redazione per poi andare a casa presto, per non ammalarci proprio adesso che stanno per cominciare le feste. Abbiamo brindato. Chi al Natale. Chi al suo nuovo inizio. Chi ai Maya. E io lì, con il mio calice in mano. A dire cin cin per un contratto che non c’è, ma che se ci fosse mi farebbe passare un buon Natale. Senza dovermi organizzare un nuovo inizio. E senza costringermi a credere che i Maya, in fondo, avessero ragione in pieno. Perché venerdì questo mio mondo di parole e dita congelate potrebbe finire davvero.

Due o tre(mila) cazzate

20 Lug

Un tappeto rosso fuoco era lì ad accogliermi. A condurmi dentro non c’era il classico ragazzotto tutto tirato ma in fondo ridicolo. C’era una donna. Bella. Tipo soubrette. Mi ha indicato lei la porta del Cielo.

Dentro era il Paradiso, e non poteva essere altrimenti. Porte fatte con un legno così raro da essere già estinto. Finestre che non avevano vetri, ma puro Swarovski. Le Pareti? D’oro, e non sto parlando del colore. Il tappeto rosso arrivava fino alla mia postazione, in cui mi aspettava un pc della Nasa ultimissimo modello con Belen senza veli come sfondo del desktop. Scherzo. Belen era lì in carne e ossa (soprattutto carne), seduta al mio posto. Mi teneva in caldo la poltrona in pelle di brontosauro, poi mi ha chiesto se avessi altro da farle tenere in caldo. Mi sono venute quelle due o tre(mila) idee, ma poi l’ho ringraziata e le ho detto ero a posto così. Coglione.

I colleghi avevano tutti delle facce d’angelo, e io a guardarli non avevo proprio nessuna paura. Erano tutti belli e affabili. Modelli mancati. Showman a tempo perso. Mi hanno offerto un buon caffè, il migliore del mondo, appena tostato ma soprattutto appena colto nella piantagione dietro la redazione. Un cortiletto, sì. Circa due o tre(mila) ettari di chicchi neri. Era così buono che non mi ha fatto nemmeno male, e dire che a me di solito il caffè provoca una sorta d’isteria mista a panico. Così ne ho bevuti altri due o tre(mila) litri. Poi mi sono guardato allo specchio. Grazie a quella pozione nera ero diventato biondo e con gli occhi azzurri. Thor, puppa.

I capi? Deliziosi. Per lo spuntino di metà mattinata (cominciamo a “lavorare” alle 10, quindi alle 10 e mezza eravamo già a tavola) mi hanno offerto ostriche e pesce spada, innaffiati con dello champagne appena munto dalla vacca di redazione (credevate ci fosse solo Belen?!). Poi ci siamo messi a fare sul serio. Cinque minuti e via, a casa. Ma prima di andare il boss con cui avevo fatto il colloquio mi ha fermato, e tutto imbarazzato mi ha chiesto scusa. Si erano dimenticati di mettere circa due o tre(mila) zeri in fondo alla cifra indicata sul contratto, e di dirmi che quella paga non è mensile. E’ quotidiana. Alla sera ero già ricco. Alla sera mi sarei già potuto licenziare. Ma no. Lì si stava così bene che non l’avrei mai fatto.

Poi il drin. Altroché sera, era ancora mattina. Avevo sognato tutto. Ero nella mia nuova stanza, a sorbirmi la sveglia dei Queen della coinquilina (che la fa suonare tre volte in tre quarti d’ora, altrimenti non si sveglia) e il treno che mi passa davanti casa, ma che mi dà sempre l’idea di sfrecciarmi da timpano a timpano. Ho i binari nelle orecchie, ormai.

Poi sono andato davvero in redazione. Stupore! Il mio sogno era stato fedele a quello che avrei trovato. Era tutto vero. Questo posto è davvero il Cielo. D’altronde la mia caposervizio legge il mio blog, e io la vedo ridere dalla mia poltrona di pterodattilo mentre lo fa (sì, il brontosauro è già passato di moda). Ragion per cui questo Paradiso resterà tale pure quando sarà un inferno. Sigh.