Tag Archives: sfoghi

Questo è un uomo

6 Feb

Non è più una questione di bavaglio, non è soltanto una questione di libertà.
È una questione di umanità. L’umanità che a qualcuno manca, e a cui di certo mancherà sempre. L’umanità che di certo non mancava a quest’uomo, a questo ragazzo. Un martire della verità. Semplicemente un uomo più uomo di altri.

Ciao Giulio.
Ora facci un bel reportage da lassù.

giulio regeni kronakus.jpg

Ammutinamento?!

26 Dic

Sono sempre più tentato di non pagare la mia retta annuale. Per me, oramai, l’Ordine è come il Natale per gli atei: qualcosa in cui non credi, ma che ti costringe lo stesso a fare regali.

ammutinamento

Breaking Ba…ll

15 Dic

Ho appena raggiunto il punto più alto della mia carriera: scrivere un intero paragrafo sulla frattura del pene. Sarà il segnale, la prova tangibile di una sconcertante verità: me so’ rotto er cazzo.

Richiamo all’Ordine

14 Nov

Vorrei perdermi nei meandri delle mie elucubrazioni. Volare nel vento come pensieri di cenere. Abbandonarmi a uno sfogo immane incentrato sul terrore di tanti e sull’idiozia di alcuni. Ma no. Non lo farò. Mi limiterò a sfoggiare un pragmatismo che non sempre mi appartiene. Così, qui lo dico e qui lo nego: se a questo scempio immane (vedi foto) non seguirà una radiazione da parte dell’Ordine dei giornalisti io, a gennaio, non pagherò la mia quota annuale. Non farò mai parte di un’organizzazione che, in caso di mancati provvedimenti, si farebbe complice di questo autentico schifo.

#jesuisparis
#prayforparis
#prayfortheworld
#unitiperparigi

libero-bastardi-islamici

Se questa è una donna

9 Set
Foto ANSA

Foto ANSA

Qualche scatto, un breve filmato. Poca roba. E io detesto giudicare sulla poca roba. Mi serve materiale, mi occorre conoscere il contesto. Desidero arrivare alla radice, prima di dire di che colore sono le foglie. Ma questa volta no. Questa volta ho per le mani soltanto qualche scatto e un breve filmato. Poca roba, insomma, ma tanto mi basta. Anzi, è pure troppo. E’ quanto basta per farmi salire l’indignazione fin sopra i capelli. E se penso che siamo colleghi alla lontana mi viene voglia di cambiare mestiere. Voglio risvegliarmi domatore di T-Rex, degustatore di funghi velenosi, cavia umana. Va bene tutto, purché non si dica che io, come lei, faccio il giornalista. Purché si sappia che, se io sono il giorno, lei è la notte più nera.

E se la guardo, infatti, in quei pochi scatti e in quel breve filmato, io la vedo lì, schietta, lampante. Lei, la notte più nera. Quella di un’umanità che prende a calci gli uomini che hanno in braccio dei bambini. Quella di una presunta reporter che ha avuto un’improvvisa illuminazione. «Sono un’altra figlia illegittima di Maradona – avrà pensato – e devo assolutamente prendere a calci qualcosa. Facciamo qualcuno. Toh, va, passa un uomo con un bambino, un disperato che ha abbandonato la sua vita d’inferno in cambio di un purgatorio qualsiasi. Buttiamolo giù, che tanto non c’ho un cazzo da fare. Facciamo come farebbe il presidente, che costruisce muri contro l’afflusso di immigrati come se fosse una misura per rilanciare l’edilizia». Se questa è una giornalista, io sono Enzo Biagi. Se questa è una donna, io sono Belen.

Di nome ma non di fatto

27 Mar

Giorni fa vi ho beccato con le mani nelle ostriche. Oddio, non lo so, in realtà, se ci fossero pure quelle. Ma lo champagne sì. Lo champagne c’era eccome. Ve l’ha portato il distinto cameriere del locale a fianco, direttamente in redazione. Se ne stava tutto impettito, lui, con il cestello pieno. Pieno di champagne, appunto, e di ghiaccio. Tanto ghiaccio. E bicchieri, tanti bicchieri, sul vassoio che reggeva con attenzione senza rinunciare mai alla sua posa impettita. La forma è importante, già. Ma la sostanza, a casa mia, lo è molto di più. La sostanza è che vi siete fatti portare in redazione una bottiglia di champagne – con tanto ghiaccio e tanti bicchieri-. La sostanza è che io passavo di lì proprio in quell’istante. Le mie pupille sono inciampate per caso sul petto impettito del ragazzo-cameriere che ve l’ha consegnato e probabilmente servito. Me ne stavo lì, a guardare la scena. E a pensare l’inevitabile. A pensare quanto quella stessa scena fosse un tremendo e immorale schiaffo alla crisi. Non tanto a quella economica su scala globale, ma a quella di un settore che non agonizza. E’ già in coma.

Quanto li pagate i vostri collaboratori? Ma soprattutto, li pagate? E quanti stagisti avete? Quanti redattori avete mandato a casa negli ultimi anni? Quanti tagli avete fatto per riuscire a sopravvivere, voi e il vostro giornaletto di parte? A quante bocche avete tolto il pane, per riempire le vostre di pregiato e bollicinante champagne?

Vedete, questo post rischia di essere una bufala colossale. Ci ho riflettuto per giorni prima di pubblicarlo. La verità è che io non lo so il motivo di quel vostro brindisi. Magari era il compleanno di qualcuno. Magari qualche caporedattore sta per diventare papà. Magari se ne va in pensione un veterano o, meglio ancora, avete assunto venti persone tutte in un colpo e avete giustamente pensato di festeggiare. E’ possibile che i vostri conti siano a posto – oggi come oggi non sarebbe poco – e di fronte al bilancio con il segno più abbiate deciso di dedicare un dignitoso e meritato prosit a tutta la vicenda. Vedete, queste sono tutte le possibili verità. Queste, insieme a tante altre che ora non mi vengono in mente. Ma poi è arrivata la prima pagina di oggi. Poi è arrivata lei e ho deciso di fregarmene di tutte queste stramaledette opzioni. Ho capito che – a prescindere dalle bollicine che ingurgitate – non c’è rispetto in quello che fate. E non vedo perché io debba farvi sconti. Non vedo perché io debba avere rispetto per voi.

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E’ anche per colpa di gente come voi se questo mestiere non ha più una dignità.

Andatevene moderatamente a fanculo (2)

6 Feb

Un blog che parla di blog è un blog un po’ strano. Soprattutto sono strani quei blog che iniziano i loro post ripetendo per ben tre volte la parola blog in una sola frase. Cinque, fin qua. Contatele se non ci credete.

Dicevo. Un blog che parla di blog è di per sé un blog un po’ strano. Se parla di se stesso, poi, è proprio un caso disperato. Un frullato di egocentrismo digitale, direi. Pazienza. Oggi esordisco così. Ripetendo la parola blog per ben nove volte in poche righe (contatele di nuovo, su), ma soprattutto esordisco parlando di questo stesso blog (e dieci). Sì, perché l’ultimo post è arrivato dove mai nessun altro. L’ultimo post ha attirato l’attenzione di migliaia di utenti. Saranno stati i toni accesi, il titolo roboante, oppure ha fatto tutto l’indignazione per il caso che ho riportato. O magari la mia rabbia è arrivata dritta dove sarebbe dovuta arrivare, sparata sulla fronte del lettore, e il passaparola ha fatto il resto.

E’ che la frustrazione è tanta. E non cala sapendo che quel moderata retribuzione ha ora un peso, una misura. Una cifra. Ottocento euro. Non si sa se netti o lordi, ma è quanto promettono quelli di The Post Internazionale. Colleghi che rispetto, perché questo mestiere lo fanno certamente meglio di altri. Sono molto più giornalisti loro di tanti altri sedicenti tali, che invece non fanno altro che intingere il calamaio nell’inchiostro e la lingua nel culo di chi li finanzia. Ma il buon lavoro svolto finora non giustifica un compenso così. Così basso. Così misero. Così moderato.

Posso anche immaginare che oggi come oggi non si possa fare di meglio. Posso credere senza alcuna fatica che è così che oggi debbano andare le cose. Le vacche grasse non ci sono più: il colesterolo è salito alle stelle e – puff! – addio coronarie. Oggi è il tempo delle vacche magre, così magre che la Kate Moss dei tempi d’oro, a confronto, sembra Platinette. Oggi è così che va. Il giornalismo è un mestiere per poveri, o così ci raccontano. E io non è che non ci creda, ma esattamente come tutti i miei colleghi ho uno stomaco da riempire, una casa da pagare, dei sogni che agonizzano e che non vorrei mi schiattassero davanti agli occhi proprio in questo istante. Il problema, ora, non è la parola indecente che hanno utilizzato nell’annuncio per definire la retribuzione prevista (“moderata””, appunto). Il problema è che con ottocento euro non puoi fare granché. Con ottocento euro lo stomaco lo riempi, ma per la casa le soluzioni sono due: o ci pensano i tuoi genitori oppure resti direttamente nella loro. Dei sogni non ne parliamo nemmeno. I sogni son desideri che stanno in fondo al cuore, diceva Cenerentola. E lì, molto probabilmente, son destinati a rimanere. Tanto più che è mezzanotte passata.

Andatevene moderatamente a fanculo (2)

Andatevene moderatamente a fanculo

4 Feb

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Sfacciato. Illeggibile. Irrispettoso. Ecco cosa penso di un annuncio del genere. Come al solito si chiede tanto, e si offre, in cambio, un pugno di mosche. “Prevista moderata retribuzione”, dicono. E allora avrete soltanto un “moderato impegno”. Soprattutto perché non siete una start-up da quattro soldi, ma una testata già ben consolidata.

Oramai si sa: ho scelto il lavoro meno rispettato del mondo. La gente è convinta che chiunque possa fare il giornalista. Il blogger, lo scrittore, magari pure l’incisore di lapidi. Purché scriva, questo mestiere lo saprà fare sicuramente. Poi lo metti alla prova, e ti ritrovi a desiderare che la prossima lapide sia la sua. E ti viene voglia di fare l’incisore, che magari guadagni pure qualcosa. Anche se a morire, qui, è un mestiere intero. A morire, qui, è la nostra dignità.

Figli di un dio maggiore

7 Gen

Allah è grande. Bene. Perfetto. Ci sto. Voi, invece, siete piccoli. Piccolissimi. Minuscoli. Voi che non sapete ridere. Voi che non conoscete l’ironia e il suo innocente potere. Voi che non sapete cosa sia la satira e il sacrosanto diritto che essa rappresenta. Voi che avete le armi come strumento di dialogo. Voi che rubate la vita degli altri come foste degli dèi, come foste tanti piccoli Allah. Ma Allah è grande. Bene. Perfetto. Ci sto. Voi, invece, siete piccoli. Piccolissimi. Minuscoli. E se davvero siete figli di quel vostro dio una cosa è certa. Siete stati adottati.

Figli di un dio maggiore

Cinque anni dopo

28 Lug

Miss Simpatia è online

Miss Simpatia: Happy birthday.

KronaKus: Diciamo. Grazie 🙂

Miss Simpatia: Diciamo. Prego.

KronaKus: Dico “diciamo” perché non è il mio compleanno..

Miss Simpatia: E allora mi sarò sbagliata.

KronaKus: No no, non hai sbagliato!

Miss Simpatia: L’ abc vuole che si vada diretti al punto senza bisogno di decodificare i messaggi. Hai fatto bene a scrivere “aspirante” su Facebook. Mi pare la si stia tirando troppo per le lunghe. Ciao. Buona serata.

Miss Simpatia è offline. Per sempre. Perché non solo mi ha liquidato insultandomi senza alcuna ragione. Ma mi ha tolto l’amicizia. Mi ha addirittura bloccato. Ora la mia vita non ha più senso, senza di lei. Senza poter più interagire con questa sconosciuta che non so nemmeno che faccia abbia. Sono perso. Un uomo finito. Datemi una birra. Devo bere per dimenticare. Per dimenticare che ci sono persone, donne o uomini che siano, che hanno il ciclo prima, durante e dopo quei giorni. E che ti spiattellano in faccia quel loro cazzo di scompenso ormonale.

Ma chi se ne frega. Oggi è la mia festa. Su Facebook mi avete fatto gli auguri in circa centocinquanta. Sono offeso. Il mio alter ego, il mio vero me (!!) ne fa sui cinquecento, quand’è il suo compleanno. Ma poco male. Poco male perché oggi è la mia festa, sì. Ma non il mio compleanno.

Cinque anni fa non avrei mai immaginato tutto questo. Cinque anni fa ero un ragazzetto che aveva capito che le strade per lui erano due. Campare di scrittura oppure di elemosina. Per uno come me non ci sono alternative. Non so fare altro, nella vita. Dicono sia bravo ad ascoltare, a consolare le persone. Volevo fare il counsellor, in effetti, ma di lasciare una strada che non ti dà da mangiare per un’altra che non ti dà neanche da bere proprio non ne ho voglia.

E così eccomi qui. Cinque anni dopo vivo delle mie parole. Cinque anni dopo ripenso a quando ho creato un blog, questo blog, per gioco. E per sfogo. Stavo in una redazione che non aveva niente a che fare con me. Era praticamente l’ufficio stampa della becera amministrazione che purtroppo regna ancora nella mia amata Baia delle Zanzare. Era il servilismo allo stato puro spacciato per informazione. Era ciò che io non sono. Così è nato KronaKus. Così sono nato io. Simulacro. Avatar (ma di blu non ho nulla, giuro, tantomeno la pillola). Alter ego di un ometto che oggi lavora come giornalista professionista in un giornale un po’ particolare, ma comunque lavora. Un ometto che ha dovuto trascorrere il weekend più caldo dell’anno sul bordo di una piscina milanese, qui nella Metropoli a Gas. Ché il sabato gli è toccato stare in redazione perché i tempi stringono. E allora ciao weekend al mare. Di tornare a casa attraversando mezza Italia per un solo giorno proprio non gli andava.

Ebbene sì. Sono qui, e ci starò ancora per molto. Questo blog compie cinque anni. Su Facebook mi fanno gli auguri come se io fossi nato davvero il 28 luglio dell’83. Ma non ve la prendete se vi dico che non è così. Che in quel giorno e in quel mese non sono nato io, ma semplicemente questo tragicomico diario. L’anno, invece, è quello giusto. L’anno in cui sono nato io. L’ex-ragazzino che si è sfogato e divertito per anni su queste pagine virtuali. L’ometto. Il quasi trentenne che tira le fila da dietro questa tastiera. E scusate se non sono più aspirante. Scusate se in Rete tengo ancora vivo un alone di mistero su ciò che mi riguarda. Fa parte del gioco. Sappiate giocare. E tanti auguri, KronaKus. Mille di questi fottutissimi post.

Merda e cioccolato

7 Lug

Mi rendo conto di quanto sono fortunato. Fortunato nella sfiga di non esserlo stato affatto. Se il mio stage ha fatto pena è anche colpa mia, lo so. Ma ora questo non m’interessa. Ora sto riflettendo su altre cose. Sto riflettendo su quanto sia stato grande il privilegio di aver da poco finito di vedere (e di fare) tutto quello che odio del giornalismo. Ho visto la parte marcia, così la prossima volta saprò dove cercare la polpa. La parte succosa. Quella buona.

Agenzia. Economico. Dare voce ai politicanti di turno. Ecco le tre parole, o quello che sono, che non devono far parte del mio futuro di giornalista. Ecco i tre spauracchi, i tre indicatori di un fallimento sicuro.

Non è un caso se volevo fare uno stage di online. Dicono sia il futuro, anche se è evidente come non esista ancora un modello commerciale capace di farne una professione sicura e remunerativa. Purtroppo mi ritrovo a voler fare il giornalista in un momento in cui tutto sta cambiando. Come, non si sa. Ma forse forse l’online, un giorno, si rivelerà essere la terra promessa di questa strana e bistrattata professione. Vedremo. Sapevo, quindi, che l’agenzia non mi sarebbe piaciuta. E’ stata pur sempre un’esperienza, ma io sono più per l’approfondimento che per la tempestività. Non m’interessa “stare sulla notizia” quando lo fanno già gli altri. Per me il giornalismo non è una gara di velocità, ma una sfida giocata sulla comprensione profonda dei fatti. Da parti di chi scrive e di chi legge. Sono un cronista fuori dal coro, lo so. Ma d’altronde non è colpa mia. E’ che mi disegnano così.

E’ un caso, invece, che abbia lavorato per l’economico. Sono ragioniere, o così dice il mio diploma. E in cinque anni di scuola ho imparato che l’economia non mi piace affatto. Anzi, quasi mi fa schifo. Negli anni mi sono ritrovato a mio agio più con la penna che con la calcolatrice, più con le parole che con i numeri. Ma una volta arrivato in redazione, a inizio stage, non potevo

permettermi di decidere io che cosa avrei dovuto fare. O forse sì, ma sono una persona umile, anche se a volte non sembra. E prima mi piego. Poi, prima di spezzarmi, mi rialzo. Faccio scegliere agli altri, comincio in modo servizievole, nell’accezione più pulita del termine. Inoltre un mese è veramente poco, non ho nemmeno provato a farmi spostare in un altro settore. Appena il tempo di prendere confidenza con persone e meccanismi dell’economico, che eravamo già ai saluti.

E’ un altro caso, poi, quello di aver dovuto dare voce alle facce da culo di turno. Ho scoperto a mie spese che le agenzie ti mandano alle conferenze per un motivo ben preciso. Non per cercare la notizia, come logica vorrebbe, ma per far parlare e riportare quanto detto dal politico di turno. Dal presidente di turno. Da chi detiene la carica più alta. Insomma, da chi in quel momento ce l’ha più grosso.

Ma io sono affascinato dal lato umano delle cose. Mi piace capire, scavare e poi capire di nuovo osservando quanto sono riuscito a dissotterrare. E voglio raccontare alle persone quello che c’è da vedere. Preferisco metterci un giorno di più, ma farlo bene. Voglio entrare nel cuore di chi mi legge, non limitarmi a solleticargli la mente con due righe fresche di stampa. Anzi, di bit. E voglio dar voce a chi non ce l’ha. Voglio mettere sul piedistallo chi ce l’ha piccolo e farlo sentire il nuovo Rocco Siffredi. Voglio restituire dignità a coloro cui la società l’ha negata, e senza darmi un limite. E poi odio gli sproloqui propagandistici dei ministri, che infilano a forza i loro proclami autocelebrativi come vibratori senza vasellina.

Sono davvero fortunato. Ora la strada la vedo più chiara. Lontana, ma chiara. Ho capito che le deviazioni sono tante, che l’itinerario è tortuoso. E che certe strade portano a paludi più comode di certe foreste, ma che non per questo puzzano meno. Tutt’altro.

Qui ci vuole una rivoluzione del mio approccio. A colazione mangerò pane e intraprendenza. Servono iniziative mirate, per non finire nel lato più torbido di una professione che ha due facce. Una di merda e l’altra di cioccolato. E ora che mi son sporcato con la prima, mi è venuta una gran voglia di strafogarmi con la seconda.