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Per colpa di Chi

5 Nov

Per colpa di ChiVa bene. Va bene, ho capito. Non c’è bisogno di fare così. Non c’è bisogno di usare le maniere forti, di dirlo con le cattive. Mollo. Io mollo. Mollo tutto. Non voglio più fare il giornalista (se si può dire che in effetti lo stia ancora facendo). Ma davvero, non è il caso di fare così. Non è il caso di umiliarsi per farmi arrivare a tanto. Sarebbe bastato chiedere. Sarebbe bastato continuare con tutte quelle mail del cazzo, tra una risposta finto-gentile e un finto-tariffario e l’altro. Sarebbe bastato aspettare ancora un po’. Senza arrivare a tanto, davvero. Ero già sulla buona strada. Avevo già imboccato la via dell’abbandono. Della rinuncia. Non c’era bisogno di abbassarsi così. Non c’era bisogno di dirmelo con tanta grettezza. Non c’era bisogno di farmi vergognare di voi, e per voi. Voi che avete scambiato il giornale per l’osteria, l’informazione per il sessismo gratuito. Voi che con la dignità vi ci siete puliti il culo. Vi ci siete masturbati, e ora siete qua a farci ascoltare i vostri fottutissimi, amarissimi, squallidissimi gridolini. Vendendo alcuni scatti che immortalano una donna intenta a mangiarsi un gelato come fosse una notizia. In allegato, la vostra anima.

Una cosa del genere non è ammissibile, e va al di là di ogni credo politico. Non c’è notizia, in questo servizio che avete trasformato in un servizietto. Così come non c’è più dignità, in voi, né amor proprio in quello che fate. E io, piuttosto che diventare come voi, mi do al marketing. Io che il marketing lo odio. Io che il marketing lo considero il male in Terra. Un po’ come voi, giornalettari della domenica, anche se oggi è mercoledì. Un brutto mercoledì. E io resto qua, a sperare che qualcuno vi faccia passare anche un brutto venerdì, come si suol dire. Nel frattempo mi rimetto a leggere fumetti. E ora provate a dirmi che sono un gretto superficiale. C’è meno porno in un hentai che tra le vostre pagine incollate dallo sperma.

Ho messo via

21 Mag

Un bel po’ di cose. Dicono: “Così si fa”. O perlomeno così dice Luciano. Luciano Ligabue. L’uomo che tra un paio di settimane mi riporterà qui, a Milano. Perché intanto, nel frattempo, io me ne sarò già andato. Avrò già lasciato la città meneghina, in cerca di qualcosa di nuovo. Un nuovo chiamato mare. Un nuovo chiamato gatti. Un nuovo chiamato amici. Un nuovo chiamato famiglia. Un nuovo chiamato nuovo, ma che di nuovo ha davvero poco. E, soprattutto, non ha niente a che vedere con il lavoro.

Il lavoro mi ha tradito. Il lavoro mi ha lasciato. E io, per un perverso giro della logica devo lasciare a mia volta qualcuno. Qualcosa. Milano. Un posto con il quale non credevo che avrei mai provato empatia. Un posto che invece mi resterà sempre nel cuore, perché qua i cuori sono molto meno grigi di quanto si pensi da fuori. Ma questa è un’altra storia. La storia che vi voglio raccontare oggi non è quella di un addio, ma di un arrivederci. Arrivederci, Milano. Non credere di aver chiuso con me. Non t’illudere. Qua io lascio affetti e progetti, progetti e affetti. Spesso, cosa bellissima, le due cose riescono addirittura a coincidere.

Ma intanto ti devo salutare, o mia bela Madunìna. Sono costretto a prendermi una pausa di riflessione. Per questo, da amante un po’ triste e un po’ deluso, sto già facendo i bagagli. In camera, in questa camera che sono in procinto di abbandonare dopo quasi due anni, sono circondato di scatoloni da riempire, sequestrati dal magazzino del Carrefuor vicino casa come fossi un barbone. Con la differenze che quelli, poveracci, una casa non ce l’hanno proprio. Io la mia la sto per mollare, dicevo, e me ne sto per tornare a quella vera. Quella delle origini. Quella dei miei. Arrivederci, Metropoli a Gas. La Baia delle Zanzare è già lì che mi aspetta. E così il mare. E così i gatti. E così gli amici. E così la famiglia. E così quel nuovo che tanto nuovo non è.

Intanto raccolgo, seleziono, organizzo, inscatolo. E ho messo via un bel po’ di cose. Dicono: “Così si fa”. Tra quelle cose, chili e chili di carta prelevati dai cassetti della redazione. Così, rovistando, oggi ho ritrovato le stampate delle prime pagine curate da me. Ho riletto i miei primi titoli, di cui andrò sempre fiero anche a costo di apparire immodesto. Ho ritrovato le correzioni in rosso, sarcastiche, ficcanti e per questo efficaci di Lina Insu, la donna a cui devo questa mia prima vera opportunità di lavoro. E ho ritrovato, lì in mezzo, l’entusiasmo che provavo nel fare certe cose. Nel gestire le mie sezioni. Nello scrivere pezzi sulle grandi magie della tv e dello spettacolo in genere. La soddisfazione di potermi relazionare con dei collaboratori, mentre una volta il collaboratore ero io. Una volta, proprio come adesso. La ciclicità del destino è davvero ridicola e beffarda.

Mi sono ripassate per le mani le stampate degli scambi epistolari con la photoeditor della stanza accanto, che mandarsi le mail era meno faticoso che alzare il culo e andare di là oppure gridarsi a vicenda come fossimo in osteria. Sono ripassati sotto i miei occhi quei timoni fatti e rifatti. I fogli su cui mi segnavo le idee su come sviluppare i temi del mese, puntualmente cassati da chi, sopra di me, aveva già venduto la sua anima di giornalista ai fottuti diavoli del marketing.

Ho ritrovato, lì in mezzo, quella parte di me che tra una corsa e l’altra si divertiva a fare, e che ha voglia di fare ancora. Milano, non credere di aver chiuso con me. Perché io, con te, non ho di certo finito.

Ho messo via

Tanto lo so che è tutta una farsa

23 Apr

Mi sono iscritto al concorsone Rai per i giornalisti.
Il mio senso dell’umorismo non ha proprio limiti.

Rai_Fiction

Ed ecco, non a caso, il logo ufficiale dell’iniziativa.

La vita è ‘na monnezza

3 Mar

Driiin.

“Ciao KronaKus!”
“We, ciao!”
“Allora, sei tornato?”
“Sì, sì..”
“Ma sei tornato per sempre o…?”
“No, calmi. Per sempre no. Starò qua una decina di giorni. Ho bisogno di staccare da tutto e da tutti, che ho avuto proprio un periodo di merda..”
“Ah.. ma quindi…”
“No, col lavoro ho finito ma…”
“Ah.. no perché… sapevo che ti stava scadendo il contratto, come a me.. Ecco.. pensavo avessi anche te delle buone notizie e…”
“E..?”
“..E.. io farò la differenziata porta a porta ancora per un po’… Ho firmato stamattina un contratto a tempo indeterm..”

Tututù.

E allora tutti stagisti

30 Ago

Se tutti facessero così si creerebbe improvvisamente un’intera generazione di ricchi. Io stesso avrei diritto a ben quattro eredità. Dite che De Benedetti sarebbe d’accordo?!

La dura legge dell’autogol

14 Mag

Mi hanno commissionato un articolo su Bin Laden. Ho scritto che è stato trovato in una grotta. Cazzata. Era in un compound. Ho dato la colpa a Wikipedia, come se l’avessi letto davvero lì. Ed ero pure sincero. Ho controllato, ma per leggere grotta avrei dovuto cercare alla voce Gesù Bambino. Cosa che non avevo di certo fatto. Perciò ho sbagliato io (ma sarebbe stato comunque un errore dar retta a Wikipedia senza controllare). E’ colpa mia. E’ stata una svista. La fretta. Maledetta fretta.

Nel frattempo ho trovato qualcuno su cui scaricare ogni responsabilità. Caparezza. Ha scritto una canzone, e come spesso accade un perditempo c’ha fatto un video amatoriale (vedi sotto) con delle foto buttate lì, poi l’ha caricato su Youtube. Al minuto 1:43, alle parole salvo venerare quello nella grotta, ha inserito un’immagine di Bin Laden, anche se probabilmente il rapper pugliese si riferiva proprio a Gesù Bambino. Praticamente abbiamo fatto lo stesso errore, ma in modo opposto. Il mio subconscio ha scambiato il messia dei fondamentalisti islamici con quello cristiano, mentre lui ha scambiato il messia cristiano con quello dei fondamentalisti islamici. Roba da scomunica, cribbio.

Seriamente. Devo aver sovrapposto tutto. Gli emmepitré di Caparezza io li consumo (come si consuma un emmepitré?!). Ma ascolta e riascolta, cerca un video qui e guarda un video là, alla fine ho scritto grotta dove non avrei dovuto. Eppure Wikipedia parlava a chiare lettere di complesso residenziale. E’ vero, mi sarei dovuto ricordare da solo. Ma la mia memoria è come le bugie. Ha le gambe corte. E questa non era nemmeno una bugia.

Poi il Cielo si è incazzato. E ha fatto pure bene. Sono stato punito. Una settimana di stop. Soldi persi. Soprattutto una certa paura. Sono incredibilmente tranquillo, è vero, ma in sottofondo c’è il timore che non sarò perdonato da chi di dovere. Mi hanno messo in panchina. Me lo sono meritato. Ho fatto un cazzo di autogol. Peggio di quando anni fa, giocando a basket, passai la palla all’arbitro. E si scansò, lo stronzo. Nemmeno ci provò a prendere la sfera e tirare. Tsk. Mai un po’ di collaborazione.

Venerdì sera, quindi, ho fatto una cosa che non facevo da tempo. Di solito lavoro per non lasciarmi il grosso nel weekend. Stavolta invece sono uscito. Sono andato a bere. Più che per brindare, per dimenticare grotte e barbe lunghe.

 

Horror meteo

13 Apr

Per martedì 3 aprile è previsto cielo coperto, con temperature che oscilleranno tra i 14 e i 18 gradi. Per mercoledì 4 aprile, invece, è prevista pioggia intensa con temperature in calo tra i 12 e i 17 gradi. Peccato che oggi sia già venerdì 13. Il meteo fatto da Jason sarebbe stato più credibile.

 

 

(e dire che prima era successo questo, poi quest’altro.. vabè…)

Non esistono più le mezze notizie

3 Apr

Narratori di verità, così ci chiamano. Ma a volte è difficile capire a chi dar retta.

Rossella Urru, la farfalla che non vola più

29 Feb

E’ bella pure lei, ma non avendo libellule incastrate nel pube non se la fila nessuno. Vorrei davvero che Rossella diventasse la nuova Belen. Questa libellula è rimasta incastrata nel pube algerino. E’ successo quattro mesi fa. E’ caduta in un brutto retino, ma nessuno ha mosso un dito per lei. Tutti presi con altre farfalle, di quelle che solleticano, che provocano dolci pruriti.

Guardatela bene. E’ bella pure lei, anche se non scende dalla scalinata dell’Ariston con uno spacco sub-ascellare. Eppure a Sanremo c’è finita lo stesso, grazie a una comica che sa far ridere ma pure riflettere. Sotto i riflettori c’è tornata anche grazie all’uomo che meglio di tutti sa bucare lo schermo, e che per questo sa anche ricucirlo laddove lui buca la notizia. Geppi e Fiorello hanno contribuito a fare di questo 29 febbraio un giorno davvero speciale. Non perché bisestile, non perché Gioacchino Rossini può festeggiare di nuovo il suo compleanno (come ci ricorda anche Google), ma perché il web ha preso la parola, ha urlato contro gli altri media, ha attirato l’attenzione che ci voleva e come ci voleva. E pure i tiggì hanno rivolto lo sguardo verso altre farfalle.

Oggi è il Rossella Urru Blogging Day. Oggi la tv smette di dormire, almeno per un po’. Oggi non ci parleranno soltanto dei baci con la lingua tra Capitan Schettino e la non-badante che si faceva in nome di una strana Concordia. Per ventiquatt’ore il tubo catodico si ricorderà del ruolo che può ancora giocare. Perché non ci sono soltanto le liberalizzazioni in arrivo, ma anche le liberazioni che non arrivano.

Clicca qui per saperne di più. Saperne di meno non ti servirebbe a niente.

Rocco e i suoi fratelli

6 Feb

Un certo Siffredi sta schiattando d’invidia. Lui a trenta in così poco tempo non è mai arrivato, di certo non a trenta amplessi. E mai con una pecora, al massimo con una pecorina. D’altronde lui si chiama soltanto Rocco. Randy invece è un montone. Quando il nome è anche un programma.

La solitudine dei primi

2 Feb

Un tempo c’erano i pacchi bomba. Erano improvvisi e,  soprattutto, molto molto pericolosi. Oggi le poste si sono trasformate in sottospecie di banche, e chi scrive a qualcuno lo fa quasi sempre in bit. E’ l’epoca delle missive virtuali. Il tempo delle mail bomba.

Le mie non sono poi tanto improvvise, anzi, ormai me le aspetto proprio. Pericolose invece lo sono, soprattutto per i nervi. L’assurdità di certe parole mi rimbomba dentro, e mi ricorda come io sia nato nell’epoca sbagliata. Una in cui chi lavora non viene pagato né in denaro né in rispetto. Ci sono testate da prendere a testate, che ti danno tre euro al pezzo (lordi, s’intende) e pretendono l’inverosimile. Oltre il danno, la beffa. I redattori ti scrivono in casella, a te come a tutti gli altri collaboratori, per ricordarti quanto sei idiota. E per dimostrarti quanto lo sono soprattutto loro.

Scrivi. Impagini. Tagli le foto e le carichi nel server. Titoli. Fai i sommari. Metti le didascalie. Controlli se hai rispettato le regole SEO. Ti accorgi che qualcosa non va. Riscrivi. Reimpagini. Tagli le foto e poi passi alle vene. Fai tutto questo e ti accorgi che è già passata più di un’ora. Ma la consapevolezza che fa più male è quella di aver sprecato tutto questo tempo per una cifra che ti ripagherà sì e no della corrente consumata, delle suole logorate sbattendo i piedi dal nervoso e dell’usura dei polpastrelli. Tic tic tic. Mai visto un simile spreco di cellule morte su una tastiera.

Poi ti rilassi. E’ notte, perciò ti rilassi. E’ un tuo diritto rilassarti almeno la notte. Prima di addormentarti, però, controlli le mail. Ormai è una prassi consolidata. Dare un’occhiata alla posta è spesso l’ultima cosa che fai ogni giorno, ma anche la prima del dì che segue. E trovi lei, la mail bomba del solito redattore, lui e lui soltanto, che quasi ogni notte tedia tutti i collaboratori con rimproveri e minacce neanche tanto velate. Avvertimenti, moniti, ultimatum. Io non so esattamente con che capre abbia a che fare, ma di certo lui è il pastore più rompicoglioni che abbia mai visto. E’ il primo tra noi poveri coglioni, nel senso che è il capo (sigh!), uno dei nostri superiori prima della direzione. Un dispensatore di accuse rivolte a chi percepisce soltanto tre euro a botta e non ne percepisce il motivo. Me lo immagino davanti al suo schermo, alle tre della notte, a fare un lavoro per cui forse è pure stipendiato (oh, quale privilegio!). Luce blu che si riflette sulle gote scavate, e due occhi tanto tanto spenti. Ma la solitudine dei primi ti porta a dare i numeri. Ti controlli le tasche, e le vedi vuote. L’unica cosa piena è una casella di posta virtuale colma di improbabili accuse rivolte a un gregge legittimamente demotivato. Istruzioni per l’uso che sarebbero pure sensate, se non fossero condite con litri e litri di piccantissima arroganza. E ti vien voglia di rispedire la mail bomba al mittente, sperando che esploda non appena arrivata a destinazione.

Navigo a vista e me ne vanto

1 Dic

Metto la protesi a un pezzo che parla di protesi (alla faccia del metagiornalismo!). Poi succede che non serve più perché nel frattempo è cambiato il timone. Fortuna che il pezzo sulla vela l’avevo già consegnato.

Oh, me tapino!

8 Nov

Ho appena scoperto di aver scritto io l’apertura del giornale di oggi. Proprio adesso che sono tornato nella Baia delle Zanzare, dove il giornale dei sogni per cui sto scribacchiando non arriva. Ho scritto l’apertura del giornale di oggi e non lo sapevo. E comunque non l’avrei nemmeno potuto comprare. Mi toccherà rileggerlo online, e con il consueto giorno di ritardo dalla pubblicazione. Oh, me tapino!

Dammi oggi il loro pane quotidiano

27 Ott

E così oggi abbandoni gli animali, mi ha detto uno dei vicedirettori dopo avermi commissionato un articolo sull’inquinamento dei mari. Che detta così sembra che io abbia preso un cane e che l’abbia lasciato a morire sul ciglio di un’autostrada. La verità che è non ho più segreti. In redazione ormai mi hanno scoperto. Mi hanno capito. Non che ci volesse un diploma, viste le mie proposte in sede di riunione. Mi hanno inquadrato come l’animalista della redazione. O meglio, come uno dei tre.

Poi si è sparsa la voce che impazzisco per i fumetti. Mi scoccia non andare a Lucca per il grande evento di questo fine settimana, ma proprio ho dovuto rinunciare proprio perché sono bloccato nella Città delle Pizze Gommose per gli ultimi fuochi di questo stage. Hanno capito, dicevo, che amo quelle nuvolette parlanti, quelle storie raccontate con il disegno e con la parola. Non che ci volesse una laurea, viste le mie proposte durante le riunioni. Mi hanno inquadrato come il fumettaro della redazione. O meglio, come uno dei quattro.

Ora capisco, io, il tipo che sabato mattina mi ha fatto quei gran complimenti per il modo in cui scrivo. Capisco perché si lamentava dell’impossibilità di specializzarsi in qualcosa in questo tipo di ambiente. E lo capisco perché io respiro animali e divoro fumetti. Ma mi dite voi come faccio a farmi la mia nicchia di lavoro in una redazione in cui le mie passioni sono già il pane quotidiano di altri?

“Sei in edicola!”

6 Ott

Eddai che si scherzava. Le cose non vanno poi così male. Anzi, per una volta posso dirmi contento. Trovatemi voi un aspirante cronista che in riunione di redazione può fare proposte, che per due giorni di fila si ritrova a scrivere proprio delle cose da lui portate all’attenzione di capi e colleghi. Travetemi uno che può fare tutto questo e che non sia contento. Trovatemelo. Cercate, cercate. Ma non dalle mie parti. Che io sono molto contento. Appagato. Quando oggi mi hanno assegnato quell’articolo sulla violenza sugli animali a cui tenevo tanto, mi sono ritrovato in bagno a esultare davanti alla tazza del cesso. Ero gioioso. Ho sentito come se fosse un cerchio che si stava chiudendo. Un desiderio che nasce in un punto, e che fa un giro completo fino a ritrovare se stesso nella sua realizzazione. Datemi da scrivere su animali e fumetti, altroché cricche e appaltopoli. Mi piace di più l’informazione di nicchia. Prendetemi come sono, è così che mi avrete. Per quello che sono.

Certo, non posso dire che lo stage fosse partito nel migliore dei modi. A meno che arrivare in redazione con un sacco di buoni propositi e sentirsi dire di non essere attesi non rientri nella categoria “migliore”. Perché, sì, la scuola di giornalismo ne ha combinata un’altra delle sue. La convenzione di stage è stata attivata per la redazione del piano di sotto, con l’escamotage di poter poi lavorare di sopra, dove avevo chiesto io di farmi mandare. Ma una volta arrivato ho scoperto che la cosa non aveva fondamento: le due redazioni condividiono mission e locali, ma non fanno parte dello stesso gruppo editoriale. La cosa, dunque, non era fattibile.

Non mi sono arreso. Ho spiegato la situazione, e al direttore del quotidiano per cui avevo fatto tutta quella strada (oltre che pagato una mensilità d’affitto dotata di un po’ troppi zeri) ho fatto capire che ero lì perché volevo lavorare con loro. Così quel pezzo di pane che sta a capo della redazione dei miei sogni mi ha proposto di tenere i piedi in due staffe. Uno al piano di sopra e uno al piano di sotto (mi chiamavano “papà gambalunga”, e non vi dico per quale delle tre…). E’ per questo che in questi giorni arrivo alle 10 e mi metto a fare notizie per quelli di sotto, ma che poi alle 13 salgo in riunione dagli altri e all’occorrenza impiego il mio pomeriggio a scrivere per loro. Mi faccio nove ore di redazione al giorno, cosa che lì dentro non fa praticamente nessuno. A parte direttore e vicedirettori, suppongo. Ma per ora va tutto ok. Sono già due giorni che a fine lavoro uno dei capi mi passa il pezzo e me lo mette in pagina, viene da me, mi fa ok col pollicione ed esclama soddisfatto: Sei in edicola! E sapere che lì, in quel paradiso di carta e inchiostro, non ci sarò perché mi starò comprando il giornale ma perché ne ho appena scritto un pezzo, è un piccolo grande brivido che mi dà la forza di andare avanti. Anche se non ero atteso.