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Exit fool (2)

21 Feb

Meno male che Enrico c’è. Lo ammetto: a tre giorni dal voto non so proprio su chi mettere la croce. So bene, invece, su chi metterei una croce sopra (scusate l’illeggibile ripetizione), e soprattutto chi metterei in croce una volta per tutte. Ma la triste verità è che io, cronista pigramente informato, non ho ancora capito chi preferisco davvero. Il dubbio è che non ci sia nessuno che mi rappresenti fino in fondo. Ed è drammatico, se si osserva la cosa con occhi democratici. In questa tornata elettorale il ventaglio di opzioni è particolarmente vario. Dispersivo. Sembra la lista dei canali via satellite. Novecentonovantanove improbabili possibilità. Fai un giro per cercare di farti un’idea. A completare lo zapping ci metti due o tre ore, e quando hai finito hai la testa che ti scoppia. Sei confuso. Guardi l’orologio, ed è già ora di andare a dormire. E cosa ci hai guadagnato? Soltanto un grosso mal di testa. Idee sovrapposte. Chiarezza zero. Ti accorgi che ti sei soltanto rincoglionito, senza guardare niente con vera attenzione. Ed è per questo che devi leggere il magazine tv per cui lavoro. Lo trovi in tutte le edicole alla modica cifra di 1,xxxxxxxxxxxxxxxxxxxScusate. Porto un po’ di acqua al mio mulino. Non si sa mai come va a finire, qua.

Dicevo che c’è poco da fare. Non c’è nessuno che mi convinca davvero. Sarà che si sono persi un po’ tutti i riferimenti. Ormai per me la destra e la sinistra non sono che mere direzioni. Mano forte e mano debole. Con una ci scrivo, con l’altra ci faccio cose vuemmediciòtto che non vi sto a raccontare. Ma non è questo il punto. Mi sembra che tutti, alla fine dei conti, offrano più o meno le stesse cose. Tutti quelli che attirano la mia attenzione, intendo. Io non sono mai stato un cronista politico, quindi magari sono io che non ci sto capendo niente. La mia passione per la vita parlamentare è pari all’entusiasmo che provo per il torneo di bocce alla lunga che si svolge ogni anno nel circolo che sta dietro casa mia, dove il mio amico Mario fa un caffè davvero eccezionale alla modica cifra di 0,xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxScusate, ma io un post serio a sfondo politico proprio non lo so fare. Figuriamoci un articolo.

C’è un motivo se sono finito a occuparmi di spettacolo, di storie formato tv. Culo, quel motivo si chiama così. Ma è un culo che la sa lunga, un deretano che mi conosce molto bene. Ed è lo stesso deretano che stasera mi ha portato a sintonizzarmi su La7 durante il mio zapping compulsivo, tra una forchettata di insalata e l’altra. E’ stato lui a farmi trovare il buon Enrico Mentana (che stimo e non poco), intento a intervistare alcuni dei candidati tra cui sono tuttora indeciso. Proprio stasera che mi ero prefissato di fare una rassegna stampa a sfondo elettorale. Per schiarirmi le idee. Per prendere posizione una volta per tutte. Per entrare in cabina, domenica, sapendo bene dove mettere la X. Perché io sono per la croce messa con la testa. Il testa o croce lo lascio fare agli altri.

A cena col nemico (3)

6 Mag

Tornando dalla palestra trovo sempre qualche sorpresa. Squilli, chiamate, messaggi, mail. Il mio pacco si chiama iPhone, e la regola dello scavicchi ma non apra non vale mai per me. Devo aprire per forza.

Due giorni fa ho trovato l’ennesima chiamata di quelli del giornaletto locale di cui sono direttore. Non so, ultimamente sono nervoso. Così, senza motivo. Sono un cronista isterico. Immotivatamente isterico. Mi fa così. Pazienza. Fatto sta che trovare quella telefonata mi ha dato sui nervi. Sarà che tutta la trafila per la pubblicazione del primo numero si è rivelata davvero estenuante. Sarà che ci si son messe pure le Poste a rallentare i lavori. Sarà che sono un cronista isterico. Punto.

Alla sera ho richiamato, ma ho mascherato sapientemente il mio disappunto. Che poi ero pure di corsa. Ho cenato un po’ di fretta, poi dovevo andare al cinema a vedere l’ultimo scialbissimo Woody Allen. Sì, ho mascherato. In fondo non ci si può incazzare per una chiamata, e finché non si vedono i primi soldi devo starmene buono anche se ho le mie cose.

“Ohi, KronaKus!”
“Ciao. Dimmi tutto..”
“Allora.. Sono stato in tipografia, oggi. Abbiamo sistemato le ultime cose. Il logo delle Poste, poi, lo mettiamo un po’ più piccolo. C’hanno detto che l’importante è che si legga il numero dentro, perciò..”
“Bene..”
“Sì.. E.. niente. Poi ti cercavo per chiederti un’altra cosa..”
“Sì..”
“Mi diceva il boss, se tu sei d’accordo, di mettere il tuo nome un po’ più in grande, magari sotto la testata..”
“Ah.. Ah! Sì! certo!”
“Sai.. A noi fa bene far vedere che abbiamo un caporedattore, e almeno si vede che.. insomma.. che c’hai lavorato anche tu, cavoli! Sennò lì in piccolo..”
“Nella gerenza, dici..”
“Sì.. lì.. Insomma, lì non ci va a leggere nessuno, dai..”
“Sì.. Certo.. Per me va benissimo! Anzi.. grazie per averci pensato. Davvero.”

Sono un cronista isterico. Il guaio è che sono affetto da un’isteria preventiva, e che poi si rivela pure immotivata. Un po’ come tutte le cose preventive, insomma. Sono il Bush delle telefonate. Trovo una chiamata e dichiaro guerra al mondo. Non va mica bene.

Credo di averlo ringraziato tre o quattro volte. D’altronde non erano tenuti a farlo. Non erano tenuti a mettere il mio nome lì in bella vista. Certo, hanno il loro tornaconto. Fanno vedere ai loro potenziali (e)lettori che fanno le cose sul serio, che hanno addirittura un caporedattore. Ok, voleva dire direttore responsabile. E io non gli ho mica ricordato che dato che si pubblica qualcosa un direttore responsabile c’è per forza, e che sbandierarlo a caratteri cubitali non è dimostrare di fare le cose in grande, ma di farle in regola. Certo, non tutti i loro compaesani ne saranno al corrente. Non mi aspetto mica che il contadino che abita di fianco al mio amico scurrile sappia che per legge ci vuole un direttore. Ma al di là di questo ho vissuto la cosa come un atto di dolcezza da parte loro. Sì, dolcezza. E riconoscenza. Ho seguito il progetto sin dal concepimento. L’ho visto crescere dentro il loro grembo accidentato. Li ho aiutati a capire se fosse maschio oppure femmina. Gli abbiamo dato un nome insieme. Abbiamo deciso come impostare i suoi primi sei mesi di vita (è un semestrale, sì). E adesso mi fanno sentire un po’ il papà di questa cosa che ancora non è nata, ma pare sia questione di giorni.

Vincere le elezioni sarà pure una questione di culi e di sorrisi seducenti, ma intanto qua quello con il culo sono io. Non è facile trovare qualcuno che pensi a certe cose. Qualcuno che voglia in un certo senso valorizzare il tuo lavoro. Ora ho un motivo in più per essere un po’ meno isterico. E di smettere di picchiare selvaggiamente su questi tasti, come mi hanno appena fatto notare.

E meno male che ci sono loro. Perché il Cielo, nel frattempo, si è proprio incazzato.

A cena col nemico

1 Mag

Il culo bello alto, il petto in fuori e gli occhi che parlano da soli. E’ entrata così in quella chiesa sconsacrata, costringendo noi ometti a fare commenti che quella chiesa l’avrebbero sconsacrata comunque. Eravamo lì per un compleanno. Un nostro amico si era fatto convincere da un’altra nostra amica, così ci siamo ritrovati con una convinzione di terza mano a festeggiare le sue ventinove candeline alla cosiddetta Cena del sorriso. Io che sono tradizionalista pensavo si riferissero a quello orizzontale. Poi è entrata lei, e ho capito che forse s’intendeva proprio quel sorriso che va da nord a sud, e che con labbra e denti non ha proprio niente a che vedere. O perlomeno si spera.

Eravamo lì, in terra straniera. In realtà eravamo a un passo dalla Baia delle Zanzare, ma comunque avevamo poggiato i nostri culi sul territorio di un altro comune. Ma poco importa. I sorrisi verticali sono argomento universale. Potremmo anche essere stati in Burundi: in quella tavolata di ottuagenarie lei spiccava alla grande, ed è diventata l’argomento principe di quel dolce inizio di serata.

Il mio compagno di sedia? Un nostro caro amico. Di lavoro fa l’autista, ed è uno poco incline alle metafore. Roba che se ne incontra una per strada la investe di sicuro. E’ uno che se ha in mente una scena da film porno te la racconta come farebbe Tinto Brass dopo quattro mesi di astinenza. Ne sono uscite chiacchiere da osteria. Anzi, da night. Poi l’amica che ci ha trascinati lì (che Dio la benedica) ci ha dato la sveglia. Ragazzi, guardate che quella lì è la sindachessa!!

Dunque. Il tenore dei discorsi, poi, è rimasto all’incirca lo stesso, perlomeno fino all’arrivo dei paccheri con le verdure saltate, che ci ha riempito la bocca con ben altri argomenti. Ma nel frattempo si era insinuato in me uno strano tarlo. Una preoccupazione così velata che quasi non esisteva, accompagnata da un sospetto e da una consapevolezza poco confortante. Io non stavo facendo niente di male, ma poi ho realizzato cosa stesse realmente accadendo. Ero a cena col nemico.

Il fatto è che il giornaletto locale di cui sono direttore è quello di una lista civica che è arrivata seconda alle ultime elezioni di questo comune extra-Baia. A vincere è stata lei, soave 31enne regina del consiglio comu(a)nale che durante la cena ha sorriso a destra e a manca (d’altronde era il tema della serata..), infrangendo cuori e cucinando fondute di giovani elettori che probabilmente chiederanno il domicilio da quelle parti soltanto per poterla votare. Il mio amico anti-metafora abita proprio in un paesino della zona, e quando sarà ora metterà di certo la sua X sulla faccia della sindachessa in cerca di riconferma. Perché secondo il mio amico il voto è un diritto e un dovere. E non c’è più grande dovere (e più grande diritto) di avercelo diritto.

Detto in parole povere, io lavoro per la concorrenza. Per l’opposizione, che al prossimo giro di urne conta di mandare a casa la signorina che ha attirato i nostri bulbi oculari come api al miele. E non c’è niente di male se per puro caso mi sono ritrovato a cena insieme a lei e ad altre cento e passa persone. Il problema è che ho capito che una così non la si batte sicuro, che l’unica chance che i miei “clienti” hanno di vincere le elezioni è di candidare Belen, o sperare che il giorno del voto gli uomini del paese vengano tutti bloccati a casa dalla dissenteria.

A me hanno promesso la direzione del giornalino del Comune. Il problema è che prima il Comune bisogna conquistarlo. La concorrenza è spietata, e ha i mezzi per fare queste e ben altre conquiste. Di certo sarà anche una donna piena di risorse, questo io non lo so e non lo metto mica in dubbio. Ma viviamo nell’epoca del Bunga Bunga, della politica dell’immagine sempre e comunque. E il boss ultrasessantenne della lista civica per cui lavoro non vincerà nemmeno se si raderà la barba e se farà campagna elettorale in autoreggenti. Tantomeno così.

Fiat Day

15 Gen

Non me ne vogliano i lavoratori di Mirafiori, ma oggi è stato il mio Fiat Day. Il mio. Non il loro. Non me ne vogliano, non m’inserirò nel dibattito che vede contrapposti il fronte del sì e quello del no. Ho rispetto per la loro scelta, che è tutt’altro che facile. Che parte da presupposti avvilenti per sfociare in scenari futuri che forse saranno ancora peggio.

Loro hanno un lavoro, io lo sto cercando. Ma prima di potermi tuffare nel mare magnum (gelatooo!!) della disoccupazione è meglio che io passi l’esame di martedì. Che ora comporta delle scelte anche per me. Darmi delle priorità per lo studio, perché tutto non potrò sapere. Il tempo stringe, le mie chiappe stanno facendo altrettanto. Ho paura, sì, ma credo sia legittima. Per questo ho deciso di dedicare quasi l’intera giornata alla questione Fiat, di dare precedenza a quella che credo sarà una delle tracce irrinunciabili per la commissione,  anche se lo sto dicendo con quattro (ormai tre) giorni in anticipo. E tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro. Vero Ruby?!?

Per settimane ho fatto riassunti dagli articoli di giornale. Oggi ho studiato tutti quelli su Mirafiori e ho scritto di mia iniziativa un articolo sull’argomento. Per poi scoprire che era lungo il triplo di quanto mi sarà richiesto all’esame. Ma tant’è. Quindi dico che oggi è stato il mio Fiat Day. E spero che martedì, al mio referendum personale possa prevalere il fronte del sì. Cribbio.