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Poltrona a dondolo

30 Giu

Mi dondolo sulla mia poltrona. Il mio amico di sempre mi ci prende pure in giro. Dice che è la poltrona del direttore, che da lì sopra sembro davvero il signor Burns dei Simpson. A suo dire mi manca soltanto di congiungere le mani pronunciando la parola eccellente, e poi sono davvero lui. Io finisce che mi guardo allo specchio e poi mi consolo. Quantomeno non sono ancora così stempiato.

Anche perché il problema non sono io, ma questa maledetta poltrona. Non è la mia faccia da pseudo-direttore bavoso, ma il culo che si poggia sopra questo morbidissimo porta-chiappe. E’ la mia reggia, il mio feticcio. La mia ragazza mi deride ogni volta (sì, pure lei) tanto sembro calato nella parte. E dire che è un suo regalo. Ma in fondo hanno ragione loro, lei e il mio migliore amico. In questo schienale io sprofondo come fossi il boss di un’azienda grande e prospera. Perché lo dico? Se mi vedeste ora non avreste bisogno di farmi questa domanda.

Eppure così non va. Mi gongolo, mi dondolo, mi gingillo (non è come sembra). Vivo ancorato alla poltrona e allo schermo che ho davanti, giorno e notte, fino a far incazzare mia madre che ormai non ricorda più nemmeno come sono fatto da in piedi, e mi crede alto poco più di un metro e venti. Tutto questo mentre all’orecchio mi arrivano verità che non sono più mie, quelle di un mondo che è fatto di movimento, di tentativi estremi. Storie di gente che osa, che non pensa di trovare uno sbocco soltanto inviando curriculum e aggiornando la pagina della posta in modo convulso nella speranza di ricevere uno straccio di risposta. Stando rigorosamente col culo appoggiato a questa cazzo di poltrona a dondolo, s’intende.

Un’amica, la stessa che mi ha trovato alloggio nella Città delle Pizze Gommose nel periodo del mio primo stage, mi ha scritto che sta per partire. Voleva da me i contatti del quotidiano con cui ancora starei collaborando, almeno in teoria. Le ho passato l’indirizzo del direttore e quello degli altri capi. Chissà che almeno a lei non servano a qualcosa. Il suo obiettivo è piazzare qualche pezzo come corrispondente dalla sua meta incandescente. Io invece sono ancora qui che invio proposte assurde pur di ricordare loro  il fatto concreto del mio esistere, che possono farmi lavorare, o che quantomeno potrebbero finalmente farmi avere la cifra che ho già maturato. Tentativi che puntualmente non ricevono nemmeno uno straccio di no. Spero per lei che abbia più fortuna, d’altronde si sta per giocare una buona carta. Buonissima. Perché la ragazza non sta scappando da Malincònia in cerca di fortuna. Lei la fortuna se la sta creando a costo di rischiare la pelle. Lei è in partenza per il Kosovo come giornalista embedded. Lavorerà direttamente dal campo, a stretto contatto con il contingente militare italiano in loco. Mentre io continuo a dondolare sulla mia poltrona in attesa di un motivo per pronunciare la parola eccellente.