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Mister(o) della fede

18 Ago

Oggi è stato il giorno del cambio della guardia. Il Capo ha iniziato le ferie, proprio il giorno in cui la Direttrice le ha finite. E proprio il giorno in cui io e la Stagista… abbiamo continuiamo a lavorare, come sempre. Ringraziamo il breve ponte di Ferragosto, unico vero respiro che ci è stato concesso. Ma il giornalismo è questo. Non ci sono soste, né pause. C’è un continuo lavorare, magari con tempi scanditi da turni, guidato dall’innato senso di un sacro dovere. Quello di informare, di aggiornare, di comunicare, di approfondire.

Di dormire. Ecco cosa vorrei. Staccare la spina per un po’. Sono stanco. Non fisicamente, non mentalmente. Moralmente. Sono in questa redazione da così poco tempo che mi stupisco di me, nel vedermi già così disilluso. Demotivato.
A me il giornalismo ha sempre affascinato. Scrivere mi ha sempre appagato. Vedere la mia firma sui giornali è un’ambizione che coltivo da un po’. Esprimermi è sempre stata una ragione di vita, resa ancor più forte dalle esperienze e dalle riflessioni di questi ultimi anni. Ma quell’atteggiamento, quello spirito e quella mentalità mi fanno venir voglia di cambiare lavoro. Ammesso che capirò mai di cosa si tratta.

Dubbi, tanti dubbi. Aggravati dall’aver scoperto una certa cosa pochi giorni fa. Io e la Stagista eravamo rimasti soli in redazione. Lei, per motivi logistici, si era ritrovata a lavorare nello studio del Capo. Così, poco prima di andarmene sono passato a salutarla, ma mi ha interrotto con una domanda che non mi sarei aspettato: “Tu sei di destra o di sinistra?”. Io, che non vorrei espormi sulla questione, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi è uscito un “te lo devo dire?”.
“Io non sono per il Mister”, mi ha subito bloccato.
Confortato, le ho confermo che neppure io sono di quella “sponda”.
“Guarda qua”, mi dice prendendo un foglio bianco e girandolo sull’altra facciata. Merda! Macchè foglio bianco! Era una foto capovolta. Nessun problema, non fosse per l’immagine rabbrividente che mi sono trovato davanti. Il Capo in posa di fianco al Mister. Un primo piano, due sorrisi enormi e tremendamente finti.
“Oh. Mio. Dio”, mi sono ritrovato a dire. E, dopo qualche minuto pieno di commenti poco inclini all’apprezzamento, ci siamo salutati per la pausa pranzo.

Probabilmente il Mister è l’idolo del Capo. Il suo modello di riferimento, la sua fonte d’ispirazione. L’ideologia politica è personale e sacrosanta, ma di certo la cosa non mi rassicura.

Fenomenologia del Mister

7 Ago

Domenica prossima, nella mia provincialissima città, ci sarà una provincialissima manifestazione, organizzata da una provincialissima amministrazione comunale che quei provincialissimi dei miei concittadini hanno provincialissimamente eletto. Tutti seguaci del Mister. Tutti tranne me, che forse forse sono finito proprio nella fossa dei leoni. Sono così provincialissimo, quando mi ci metto!

Uno dei provincialissimi quotidiani locali parla di una polemica insorta tra alcuni commercianti e il nostro provincialissimo sindaco. Pare che quest’ultimo non voglia finanziare l’acquisto degli addobbi che gli esercenti devono appositamente comprare per acconciare le loro vetrine secondo i parametri della ricostruzione storica che si farà. Il “Palio del vecchio cavallo” genera ogni anno la tipica situazione che ti costringe ad adeguarti al rito. Altrimenti sei un perdente, un guastafeste. Un outsider. Ma certi commercianti sono più taccagni che altro, della figuraccia se ne fregano. Anzi, diventano polemici. Magari in modo sterile ma lo diventano. Ed ecco l’attrito con il primo provincialissimo cittadino. Ecco uno spunto per un articolo che non vincerà mai il Pulitzer, ma che di certo farebbe parlare di sé. Niente scoop, solo quella conflittualità che è uno dei motori del giornalismo. Così mi propongo per un pezzo sull’argomento, dico che sono intenzionato a intervistare i commercianti incazzati, a dar loro la voce. Che è una delle cose che mi piace di più di questo mestiere: far parlare chi in genere non ha i mezzi per farlo, fare da cassa di risonanza dell’opinione pubblica e degli umori collettivi.

“Solo gli ignoranti fanno polemiche su una così bella festa. Piuttosto, diamo polmone alla cosa”. Ottimo, solo che a me, intanto, i polmoni si sono proprio chiusi. Mi si è mozzato il fiato ad ascoltare simili affermazioni, a dover realizzare il servilismo di chi mi comanda. A dover capire così brutalmente che oltre a non essere libero di scegliere di cosa voglio o non voglio scrivere (cosa che sono comunque disposto ad accettare, perché già preventivata), non posso dare voce alla gente ma, al contrario, a chi decide per loro. Il Capo preferisce mettere in risalto la festa, piuttosto che parlare di ciò che non funziona in questa maledettissima, provincialissima città.

Ma in fondo non è che un’impressione. Non ho nessuna certezza del fatto che la sua scelta dipenda da una partigianeria politica, tra l’altro diversissima dalla mia. Né che si tratti di opportunismo da “business man”. Ho solo sempre più la limpida sensazione di essere un pesce fuor d’acqua. O di essere finito, come minimo, nell’acquario sbagliato.

Ma non per me

4 Ago

A fare i giornalisti si diventa obesi. Lo sto capendo, anche se non ho prove certe. E’ solo un’impressione, un’intuizione. Non vedo troppi pancioni in giro, se non quello della mia direttrice, che ho scoperto essere incinta. Sesto mese di gravidanza, tra poco andrà in maternità. Dunque sono scagionato. Ora avete la prova che l’altro giorno, tra me e lei, non c’è stato nessun tête-à-tête.

Ma anche se non vedo troppo grassi insaturi camminarmi intorno, inizio a scoprire quante siano le occasioni che i giornalisti hanno per mangiare a scrocco. E tanto. E unto. Molto poco macrobiotico. Molte conferenze stampa sono cene travestite da impegno professionale. Io sono appena arrivato, ma negli ultimi due giorni ne ho viste davvero tante. E mangiato molto poche. Non perché sia a dieta, anche se probabilmente dovrei. Molto più semplicemente perché di cibo ce n’era in abbondanza, ma quanto pare non per me.

Tutto è cominciato ieri pomeriggio, quando dopo essermi rosolato al sole per scattare circa duecentosessanta foto a mongolfiere e pubblico non pagante, il Capo mi si avvicina e dice: “Stasera faremo la cena qui in spiaggia con tutti i giornalisti, sarà una cerimonia di ringraziamento per concludere l’evento. Servono foto. Tu ci sarai, vero?”. Io che speravo di poter finire di squagliarmi sul divano di casa mia, in bilico tra spossatezza e voglia di mandarlo a cagare rispondo: “Certo, va bene!”.

Cerco di convincermi che se ci sono tutti i giornalisti è giusto e doveroso che io vada. Ma non conosco nessuno, sono sicuro che mi sentirò in imbarazzo.
“Poi lo vuoi questo articolo?”, gli domando.
“Sì, certo”, mi risponde.
Bene, ho circa due ore per tornare a casa (a piedi, visto che il traffico è paralizzato per via della manifestazione), fare il pezzo, farmi una doccia e tornare per la cena.

Mi sto per incamminare, quando mi sento chiamare da una voce familiare. Toh, la Stagista! Mi chiede se alla cena ci sarò anch’io, e lì intuisco che ci andrà pure lei. Ok, fine dell’imbarazzo. Perlomeno avrò qualcuno con cui parlare.

Le racconto del fatto che il Capo ha detto che vuole che gli faccia l’articolo sullo spettacolo, lei si stupisce, lo vede passare vicino a noi e gli domanda se sia vero. Che sappia qualcosa che io non so? Probabilmente sì, data la risposta di lui. “No, un giornalista professionista ci sta preparando un comunicato”.

Non gelo, perché fa troppo caldo. E per quanto ho sudato mi prenderei un malanno. Però rimango deluso. Sarò stato davvero degradato ancor prima di avere un grado? Squalificato prima di avere una qualifica? Mortificato prima di essere mor…

Pausa scongiuro.

Torno a casa. Devo comunque correre, perché anche se non vuole l’articolo vuole comunque delle foto. Cinque o sei, da inviare con il comunicato. Immediatamente. Sono un fotoreporter, oramai. Chiamatemi Parker.

Tutto chiaro, a parte il dubbio del perché il Capo si sia comportato così con me. Prima sì, poi ancora sì. Finché non scopro il no, ma solo per caso.

Ore nove, tutti pronti per la cena. La creme de la creme della città è in posizione per fiondarsi sul buffet. Prendo posto, mi faccio il piatto con il poco che mi riesce prendere. Troppa confusione. Un po’ di riso, qualche verdura, un mollusco tutta corazza di cui nemmeno ricordo il nome. E una fetta di melone avvolto nel prosciutto. Mi siedo. Io e la Stagista cerchiamo accuratamente un posto lontano dagli altri giornalisti. Nonostante la sua faccia da fondoschiena, credo che anche lei provi imbarazzo.

Due forchettate al riso, un’infilzata al melone, ed ecco il Capo che mi viene a chiamare, dicendomi che è ora della premiazione finale. Siamo appena arrivati, la gente si è seduta da due minuti, e già fanno la premiazione?

Io non posso fare altro che alzarmi, scattando dalla sedia con la fotocamera da mille e passa euro nelle mani. Non è la mia, ovviamente. E’ della redazione. Se la rompo la devo ripagare con lo stipendio che non ho. Che vita.

Raggiungo la postazione, anche se in realtà la postazione non c’è. I camerieri si stanno organizzando per unire un paio di tavoli, da allestire con addobbi e merchandising vario degli sponsor della manifestazione. Business. Mi torna su il cibo ancora prima di poter dire di averlo mangiato davvero.

In sostanza resto in piedi come un fesso ad aspettare che sia tutto pronto. Per fortuna prendo confidenza con il giovanissimo cameraman di YourTv, unica emittente televisiva locale, provinciale e bigotta, che si è data un nome inglese giusto per apparire moderna. Uno sfogo di almeno mezzora su paghe da fame e orari di lavoro assurdi. Giovanni, così si chiama, ha passato tutto il pomeriggio a riprendere le mongolfiere. Solo che, al contrario mio, non ha avuto nemmeno il tempo di farsi la doccia, perché è dovuto tornare in redazione a prendere una batteria di ricambio per la telecamera.

Finalmente si scatta. E si suda, tantissimo. Un’umidità assassina. La fronte sgocciola come un Polaretto all’equatore. Un’ora e un quarto tra frasi impunemente retoriche, congratulazioni di facciata e improbabili inni alla patria. Con la scusa che il cielo è uno solo, ed è tutto italiano. So che non ha senso, ma non l’ho mica detto io!

Ottimo. Sono diventato liquido, ma finalmente abbiamo finito. Mi volto e lo stomaco s’incazza di brutto: hanno già sparecchiato il tavolo del buffet. E’ tutto pronto per la torta e i digestivi. Ma io sono più avanti di loro. Ho già digerito le mie due forchettate di riso.

Torno abbattuto al mio posto. Dopo essermi assicurato che il mio melone non sia scaduto e che lo strano mollusco non se ne sia tornato in mare perché offeso, mi accingo a mangiare le due o tre cose che mi erano avanzate.

Ma non è finita. Oggi in redazione è successo di tutto. Sono arrivati comunicati per tantissime conferenze stampa, di cui quattro solo nel pomeriggio. E se la Stagista non può e la direttrice ha i suoi dolori da premaman, a chi toccherà mai andarci? Al sottoscritto, che si è sorbito l’inaugurazione di un parcheggio più piccolo di camera sua, il comizio di comico da strapazzo prima del suo show, la presentazione di una sfilata di moda che si terrà nel week-end e quella di un’iniziativa benefica a favore dei bambini con problemi di autismo.

Tutto questo in meno di quattro ore. Sono andato all’inaugurazione, e sono scappato all’inizio del rinfresco per correre al comizio, ma sono volato via al momento del buffet per andare alla presentazione della sfilata, ma me ne sono andato di fretta non appena servito l’aperitivo per recarmi all’ultima presentazione. Seguita da cena. Evvai. Peccato che durante la conferenza mi sia sentito talmente stanco da aver desiderato soltanto di tornarmene a casa. E di corsa. Anzi no, con calma, perché per oggi ho corso fin troppo.

Mia madre sapeva che non sarei tornato per cena, così mi sono dovuto arrangiare con una fettina avanzata, una piadina riscaldata e due fette di uno strano formaggio dalla buccia nera. Non so cosa fosse ma, nonostante l’aspetto poco invitante, mi è sembrata la cosa più buona del mondo.