Sono due settimane che manco da casa, ma di certo il cordone ombelicale è ancora lì. Bello teso e allacciato a me. Con il ventre della mia famiglia come stazione di partenza.
E’ un cordone che tira e tira e tira. L’università l’ho fatta da pendolare, per me tutto questo è assolutamente nuovo.
E tira e tira, soprattutto la sera della festa del papà. Un motivo in più per sentire quella leggera nostalgia di chi ha già l’età per andare via di casa, ma che vive ancora tutto con un occhio avanti e uno indietro. Lo chiamerei “lo strabismo dello studente fuori sede”.
La festa del papà, la scusa in più per fare quella telefonata che mi riporterebbe alle belle voci della mia casa. Di chi la abita, ovviamente. La mia casa per ora non parla. E io per ora non sono così pazzo da sentirla parlare. Per ora.
E’ così che ieri sera ho fatto il numero e l’ho chiamato. Era già tardi, e ha risposto mia madre. Le ho chiesto: “Ma babbo sta dormendo?”. “Sì – ha risposto – ma si è svegliato col telefono”. Io gli farò gli auguri, lui mi manderà qualche colpo.
Il mio genitore di sesso maschile lavora in biblioteca. Sa che suo figlio è un assiduo ricercatore di libri che leggerà chissaquando. E’ per questo che appena saputo che ero io e che volevo parlargli, l’ho sentito venire alla cornetta borbottando: “Ma vorrà altri libri? Non gli bastano quei cinque o sei che mi deve ancora restituire?”.
Ho colto la palla al balzo.
Evidentemente si è scordato della festa, la cosa non mi stupirebbe.
“Ciao ba’. Senti, mi servirebbe un libro…”
“Ancora?”
“Sì, senti..”
“E come si chiama, questo?”
“S’intititola.. mm.. Tanti auguri babbo per la festa del papà“.
Silenzio.
E lui: “Ah grazie!”
Poi abbiamo parlato del più e del meno per circa un quarto d’ora. In lui ho sentito la voglia di comunicare con me. Il nostro è un rapporto di amore timido ma vero, e di odio dovuto alla poca voglia di tollerare certi atteggiamenti reciproci. Ma è tutto ok. Siamo una bella coppia, io e lui. Non proprio interessanti come quei padri e figli da fiction, ma siamo carucci pure noi.
E via a cenare, tardi pure ieri sera.
Mentre mi cucinavo le mie tre costolette di carne, le mie due fette di petto di pollo e la mia insalata di pomodori, cetrioli e mozzarella – insomma mentre guastavo la mia linea già mezza curva di suo – pensavo al fatto che solo io, a casa mia, mi sono interessato a fare questa chiamata. Né il Satiro né l’Ultrà si sono minimamente avvicinati al telefono per fare gli auguri ai rispettivi padri. Non so se per pigrizia o se per una legittima dimenticanza. O per chissà cos’altro.
Non ci vedo nulla di grave, ma da (pseudo)cronista quale sono mi è venuta voglia di capire perché.
a dire il vero nemmeno io ho fatto gli auguri a mio padre… forse molto spesso dipende dal rapporto che c’è (o non c’è) tra genitore e figlio.
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mio padre ha sempre cercato di trasmettermi calore, quando finiva con le cinghiate, esempio pratico di attrito, passava alle spiegazioni più fisiche su convezione e irraggiamento
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