Tag Archives: finzione

Ammutinamento?!

26 Dic

Sono sempre più tentato di non pagare la mia retta annuale. Per me, oramai, l’Ordine è come il Natale per gli atei: qualcosa in cui non credi, ma che ti costringe lo stesso a fare regali.

ammutinamento

Breaking Ba…ll

15 Dic

Ho appena raggiunto il punto più alto della mia carriera: scrivere un intero paragrafo sulla frattura del pene. Sarà il segnale, la prova tangibile di una sconcertante verità: me so’ rotto er cazzo.

Chissà cosa farò tra dieci anni

16 Nov

Ho appena rinnovato la carta d’identità. E sono stato ottimista. Molto ottimista.

Chissà cosa farò tra dieci anni

E no, non mi riferisco soltanto all’altezza.

Disoccupato a progetto

7 Ott

Rassegna stampa di Sky. Tg nazionale. Tg regionale. E a livello locale? Rassegna stampa più tg. A seguire, approfondimenti su cultura e spettacoli e sugli immancabili fumetti (che non guastano mai). Per finire, un’ora d’inglese al giorno, tanto per rimanere al passo. Poi guardi fuori. Ed è già sera.

Fare il giornalista è un lavoro. Anche quando non lo è.

Disoccupato a progetto

A serious man

25 Set

Che qua non c’è mica tempo da perdere. Che lo status di disoccupato non può mica essere un alibi. Qua tocca tenersi al passo, stare in carreggiata. Ci vuole l’impeto del guerrafondaio. Bisogna sentire dentro l’ardore della sfida. Guardare la vita in cagnesco e abbaiare. Bau! Bau!, anche se gli inglesi direbbero Woof! Woof! L’ho imparato qui. Qui, dove sto prendendo lezioni d’inglese, mia grande lacuna per il lavoro che svolgo. Qui. Gente seria tra gente seria.

A serious man

L’Unità ti fa male lo so

31 Lug

Non farò il romantico. Non farò il nostalgico. Non farò nemmeno il deluso. Farò l’incazzato. Incazzato perché a mezzogiorno erano già tutte finite, le copie dell’ultimo numero de L’Unità.
“No, capirai. Oggi scatta la smania di collezionismo!”, mi ha detto l’edicolante.
“Sono in ritardo, vero?”, ho risposto io ribadendo l’ovvio.
“Eh sì.. Poi anche oggi stessa tiratura. A me ne è sempre arrivata una copia. Una sola. E non l’ho mai venduta. A parte oggi”.

Oggi. Oggi si sono svegliati tutti, in questa città che si è riscoperta di sinistra soltanto di recente, dopo dieci anni di navigazione a vista e disperata sull’altra sponda della politica. Oggi. Oggi si sono svegliati tutti. Tutti, compreso me, che non compro mai L’Unità se non per numeri celebrativi e quant’altro. Tutti, come me, mossi da compassione o pentimento. Oppure, proprio come me, da uno spirito collezionistico risvegliato dagli eventi. Perché oggi L’Unità chiude. Oggi, in edicola, c’è l’ultimo numero del giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924. Cristo, ‘sto quotidiano ha la stessa età dei miei nonni materni!

E’ una grave perdita. Un lutto per l’informazione nazionale. Per me, però, è anche il sintomo di un cambiamento inevitabile. Il segno inequivocabile di un’evoluzione della specie forzata ma necessaria.

Un giornale che muore è sempre un tuffo al cuore. Che fa anche rima, e fa tanto canzone d’amore. Che fa rima a sua volta, e fa ancora più canzone d’amore. Ma avevo detto che non avrei fatto il romantico, né il nostalgico. Non farò nemmeno il deluso e, in questo caso, nemmeno l’incazzato. Mi limito a lanciare una riflessione tra le maglie della Rete, perché io ho un’idea abbastanza definita riguardo a quanto sta succedendo. Un’idea controcorrente, lo so, che potrebbe far incazzare qualche navigante. Ma il mare di Internet è bello perché vario, e nessuno mi toglierà dalla testa che se L’Unità chiude è anche perché non ha saputo cogliere gli umori dei lettori. Lo spirito del tempo. E’ tutto lì. Il segreto non è altro che quello. Lo spirito del tempo. Che devi cogliere. E da cui non puoi prescindere. Sennò sei fuori. Io stesso, come detto, non l’ho quasi mai comprato. Troppo di parte, seppur quella parte non sia nemmeno tanto distante dalla mia visione delle cose. E troppo limitata, rispetto a una concorrenza che seppur faziosa è riuscita a garantire un’informazione più completa, a far respirare vènti a cui un semplice giornale di partito non può arrivare. Il declino de L’Unità va di pari passo con il tonfo fragoroso della politica, una sorta di ectoplasma la cui popolarità è oggi in rapida risalita tra le luci mediatiche e le ombre di contenuto del renzismo. A questo non si può non associare la crisi dell’intero settore. Dicono che il punk sia morto, ma neppure il giornalismo non ha poi una bella cera.

Abbraccio virtualmente i colleghi che da oggi rimangono a casa, in special modo quei collaboratori che, proprio com’è successo a me, saranno i primi a essere tagliati. Ma la mia idea rimane quella di un giornale che non ha osato abbastanza, di una buona fede giornalistica che è rimasta fine a se stessa. Questi sono tempi duri. Questi sono tempi bui. Bisogna oltraggiare l’ordine precostituito. Reinventarsi, e in modo serio. I tentativi fatti non sono bastati. Oggi la rivoluzione (e la sopravvivenza) dei giornali passa per un principio cardine: devi inventarti un pubblico, un pubblico che sia soltanto tuo. Mi devi dare qualcosa che gli altri non mi danno. Sennò, mi spiace, e lo dico con la mano sul cuore, oggi è anche di questo che si muore. Altra rima smielata. Urge dieta ipoclicemica.

Ma no, non farò il romantico. Non farò il nostalgico. Non farò nemmeno il deluso. Farò l’incazzato. Incazzato perché a mezzogiorno erano già tutte finite, le copie dell’ultimo numero de L’Unità. Tutte tranne una (tiè). Ho girato ben nove edicole, che in posti come la Baia delle Zanzare equivale a un quasi tutte. Vicino a casa mi hanno risposto secchi, come si fa con chi chiede l’impossibile e gli si vogliono ammazzare sul nascere tutte le buone speranze. Al mare borbottavano, si lamentavano della tiratura che non è stata alzata nemmeno oggi (vedi alla voce “osare”), e che no, non avevo più nessuna chance di trovarmi la mia copia. Ho tentato in stazione, la cui edicola, per definizione, è e dev’essere più fornita delle altre. Niente. Ho provato pure con l’edicola-bar-tabacchi-forseanchemacellerìa in cui vado sempre con mio padre a gustarmi il miglior sorbetto al caffè della Baia. “Se c’è lo trovi lì, in mezzo agli altri giornali”, mi hanno risposto, probabilmente ignari di chi giorno fosse oggi. L’ultimo giorno de L’Unità. Ma niente, neppure lì. Io, sull’orlo della resa, ho rimesso in moto la mia Punto bianca del ’97 e ho seguito la strada. Non quella di casa, però. Ho proseguito lungo la statale, in preda a un’ultimo conato di speranza. Di fiducia. Di resistenza alle avversità. Così sono finito in un hotel che ha sotto un bar e pure un’edicola con quattro giornali. E no, niente macelleria. Ho scorso con gli occhi quei quattro giornali. Il quarto, giù in basso, mi ha fatto esultare come con un sei al Superenalotto. Era lei, l’ultima copia. La mia copia. Probabilmente l’ultima di tutta la Baia. Spuntata dal nulla alla nona edicola, che poi tanto edicola non è.

Ho insistito. Ho resistito. Ho perseverato. Non mi sono arreso. Mi sono trovato una soluzione, una nuova via, all’improvviso. Ho seguito la strada, senza tornare indietro, quasi spiazzando me stesso. Alla fine ho vinto. Ho raggiunto il mio obiettivo. Ho tenuto a galla il mio sogno del giorno, e ora non è più soltanto un sogno. Chissà che i colleghi dell’Unità non debbano fare lo stesso per sperare in un futuro. Chissà che non debba fare altrettanto anche io, per evitare che i miei sogni di giornalista s’infrangano sull’uscio dell’ottava edicola.

L'Unità ti fa male lo so

Se l’allievo supera il maestro (in curva)

30 Lug

Mi ha chiesto l’amicizia su Facebook la mia vecchia prof. di Lettere, e al primo status che ho letto mi è venuto da correggerle almeno due o tre cose.

Prof., ha lavorato bene. Adesso, però, sono cazzi suoi.

Se l'allievo supera il maestro (in curva)

Kualkosus l’aspirante qualcosa

28 Lug

Tanti auguri a me. Tanti auguri a me. Tanti auguri stocàzzo. Tanti auguri a me.

E la torta? Dov’è la torta? Dove cazzo è la mia fottutissima torta?! Siete ancora lì ad accampare scuse. Sono quasi cinque mesi che mi state a raccontare che se l’è mangiata il mostro della crisi. Balle. Stronzate. Bufale degne di Minzolini o del peggior Sallusti. La mia torta, il mio lavoro, se l’è mangiata il nepotismo ingordo. La macchina infernale delle raccomandazioni, che con la scusa dei tagli e dei rimpasti salva gli amici e silura tutti gli altri.

Mi avete detto “abbi Fede”, ma è all’incirca dal ’94 che quella parola mi dà l’orticaria. Oramai credo soltanto in me stesso. Nei miei mezzi. E nella mia capacità di reinventarmi. Perché non è detta che per il suo settimo compleanno questo blog si chiamerà ancora così. Perché non è affatto detta che da grande, io, farò davvero il giornalista.

Kualkosus l'aspirante qualcosa

Chattare mi rende infelice

8 Lug

«kronakus, ma che lavoro fai?»
«giornalista.»
«full time?»
«no. “no time”.»
«allora freelance!»
«no. free e basta.»

Chattare mi rende infelice

La dura vita del freelance

3 Giu

Mi prendo due settimane di vacanza.
Di vacanza dalla vacanza.

Praticamente una vacanza alla seconda.

Ho messo via

21 Mag

Un bel po’ di cose. Dicono: “Così si fa”. O perlomeno così dice Luciano. Luciano Ligabue. L’uomo che tra un paio di settimane mi riporterà qui, a Milano. Perché intanto, nel frattempo, io me ne sarò già andato. Avrò già lasciato la città meneghina, in cerca di qualcosa di nuovo. Un nuovo chiamato mare. Un nuovo chiamato gatti. Un nuovo chiamato amici. Un nuovo chiamato famiglia. Un nuovo chiamato nuovo, ma che di nuovo ha davvero poco. E, soprattutto, non ha niente a che vedere con il lavoro.

Il lavoro mi ha tradito. Il lavoro mi ha lasciato. E io, per un perverso giro della logica devo lasciare a mia volta qualcuno. Qualcosa. Milano. Un posto con il quale non credevo che avrei mai provato empatia. Un posto che invece mi resterà sempre nel cuore, perché qua i cuori sono molto meno grigi di quanto si pensi da fuori. Ma questa è un’altra storia. La storia che vi voglio raccontare oggi non è quella di un addio, ma di un arrivederci. Arrivederci, Milano. Non credere di aver chiuso con me. Non t’illudere. Qua io lascio affetti e progetti, progetti e affetti. Spesso, cosa bellissima, le due cose riescono addirittura a coincidere.

Ma intanto ti devo salutare, o mia bela Madunìna. Sono costretto a prendermi una pausa di riflessione. Per questo, da amante un po’ triste e un po’ deluso, sto già facendo i bagagli. In camera, in questa camera che sono in procinto di abbandonare dopo quasi due anni, sono circondato di scatoloni da riempire, sequestrati dal magazzino del Carrefuor vicino casa come fossi un barbone. Con la differenze che quelli, poveracci, una casa non ce l’hanno proprio. Io la mia la sto per mollare, dicevo, e me ne sto per tornare a quella vera. Quella delle origini. Quella dei miei. Arrivederci, Metropoli a Gas. La Baia delle Zanzare è già lì che mi aspetta. E così il mare. E così i gatti. E così gli amici. E così la famiglia. E così quel nuovo che tanto nuovo non è.

Intanto raccolgo, seleziono, organizzo, inscatolo. E ho messo via un bel po’ di cose. Dicono: “Così si fa”. Tra quelle cose, chili e chili di carta prelevati dai cassetti della redazione. Così, rovistando, oggi ho ritrovato le stampate delle prime pagine curate da me. Ho riletto i miei primi titoli, di cui andrò sempre fiero anche a costo di apparire immodesto. Ho ritrovato le correzioni in rosso, sarcastiche, ficcanti e per questo efficaci di Lina Insu, la donna a cui devo questa mia prima vera opportunità di lavoro. E ho ritrovato, lì in mezzo, l’entusiasmo che provavo nel fare certe cose. Nel gestire le mie sezioni. Nello scrivere pezzi sulle grandi magie della tv e dello spettacolo in genere. La soddisfazione di potermi relazionare con dei collaboratori, mentre una volta il collaboratore ero io. Una volta, proprio come adesso. La ciclicità del destino è davvero ridicola e beffarda.

Mi sono ripassate per le mani le stampate degli scambi epistolari con la photoeditor della stanza accanto, che mandarsi le mail era meno faticoso che alzare il culo e andare di là oppure gridarsi a vicenda come fossimo in osteria. Sono ripassati sotto i miei occhi quei timoni fatti e rifatti. I fogli su cui mi segnavo le idee su come sviluppare i temi del mese, puntualmente cassati da chi, sopra di me, aveva già venduto la sua anima di giornalista ai fottuti diavoli del marketing.

Ho ritrovato, lì in mezzo, quella parte di me che tra una corsa e l’altra si divertiva a fare, e che ha voglia di fare ancora. Milano, non credere di aver chiuso con me. Perché io, con te, non ho di certo finito.

Ho messo via

Non valgo un cazzo (perciò assumetemi)

13 Mag

Sto mandando curriculum come non ci fosse un domani. Ma la notizia non è questa. La notizia è che sto togliendo la dicitura “professionista” dalla lettera di presentazione, lasciando soltanto la parola “giornalista”. Sto tentando di rendermi più appetibile. Di non spaventare i datori di lavoro con una qualifica che potrebbe essere vista come troppo impegnativa.

Non è vita, questa.

Non valgo un cazzo (perciò assumetemi)

Metti che mi va in cancrena la biro

8 Mag

Scrivo pezzi.
Una tantum.
Sottopagato.

Praticamente sgranchisco la penna.

 

Non è come sembra: con la scrittura non si mangia.

Non è come sembra: con la scrittura non si mangia.

Io e i miei vestiti andiamo sempre molto d’accordo

7 Mag

Se c’è una cosa che adoro di questo lavoro è andare alle conferenze in mezzo a tanta gente in giacca e cravatta. La pensano così anche la mia polo sbiadita, i miei pantaloni macchiati e le mie scarpe mezze scassate.

Io e i miei vestiti andiamo sempre molto d'accordo

Tanto lo so che è tutta una farsa

23 Apr

Mi sono iscritto al concorsone Rai per i giornalisti.
Il mio senso dell’umorismo non ha proprio limiti.

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Ed ecco, non a caso, il logo ufficiale dell’iniziativa.

Palle eoliche

15 Apr

Vento. Avete presente il vento? Quella cosa che soffia e che cambia le altre cose. Quella cosa che soffia e che fa girare le pale. Ecco. A me oggi le pale girano che è una meraviglia, ma non credo sia colpa del vento.

C’è una cosa peggiore del seguire una conferenza da freelance sottopagato. E’ andare al Policlinico di Milano per una conferenza e scoprire, una volta sul posto, che è stata annullata. E c’è una cosa ancora peggiore dell’andare al Policlinico di Milano per una conferenza e scoprire, una volta sul posto, che è stata annullata. E’ venire a sapere che non sei stato avvisato perché il coglione di turno, nella redazione di scapestrati per cui lavori, ha cestinato la mail che avvertiva dell’annullamento della conferenza, e senza colpo ferire non ha nemmeno avvisato il collaboratore esterno. Che poi saresti tu. Il collaboratore, non il coglione di turno. Anche se a un certo punto le due cose si sovrappongono.

Io vi avverto. La prossima volta che mi fate uno scherzo del genere vi ci mando io, al Policlinico. Spero che gli intonaci del pronto soccorso siano di vostro gradimento.

Palle eoliche

Due piccioni con la mia fava

12 Apr

Il settore è inflazionato, il lavoro non c’è. Oggi un impiego da giornalista lo trovi soltanto in un modo: sostituendo una cronista in maternità.

Bene. C’è qualcuna che vuol farsi ingravidare?!

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Il paradosso del freelance (2)

3 Apr

No, uno non sarebbe bastato.

Il secondo paradosso del freelance sta nel fatto che il lavoro sia poco, sottopagato e con il vizio di accumularsi quando hai un treno in partenza.

Se torno con un vibratore non è per diletto (2)

31 Mar

Bello. E’ stato bello. Vedere il porno in compagnia, dico. E’ stato bello. Intorno a me una mandria di giornalisti e giornalistoidi, tutti invitati per l’anteprima di Nymphomaniac. Ed è stato bello, davvero. Era la prima volta. Sì, lo dico arrossendo. Per me è stata la prima volta. No, non il primo porno che ho guardato (anche se di solito non lo faccio in mezzo a tutta quella gente). E’ stata la mia prima volta a un’anteprima come giornalista. Ero vergine, in quel senso. E mi è piaciuto. E’ stato bello. Quasi quasi mi accendo una sigaretta.

E comunque tornare in metro con questa roba nelle mani è stato abbastanza imbarazzante.

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No, non è un dildo. Maiali.

 

Se torno con un vibratore non è per diletto

31 Mar

Il bello delle anteprime e delle conferenze stampa sono i gadget. Non te ne torni quasi mai a casa con le mani vuote. Ai giornalisti regalano di tutto. Magliette, spille, oggetti strani.

Ecco. Stasera ho l’accredito per l’anteprima di Nymphomaniac di Lars Von Trier. Un sito di cinema mi ha chiesto di recensirlo (gratis). Dato il film, la categoria “oggetti strani” m’inqueta non poco.

Se torno con un vibratore non è per diletto